Pensare l'efficacia in Cina e in Occidente

F. Jullien, Ed. Laterza, 2006

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Il disgregarsi continuo e "naturale" di una concezione del mondo diviso in stati nazionali sovrani, percorso da confini e da frontiere burocratiche, pone l'attenzione su nuove identità che mano a mano emergono e si rendono più visibili. La globalizzazione sta ridefinendo il mondo, sempre più concepito come formato da civiltà che necessariamente devono incontrarsi e gestire gli eventuali endemici conflitti.

Il libro del filosofo, sinologo F. Jullien si inserisce opportunamente nel dibattito mondiale sui processi che stanno modificando il globo, tuttavia con uno sguardo differente, in certi tratti illuminante, capace di tracciar un nuovo solco nella retorica facilistica e spesso ridondante di tale discussione.

Jullien esplora il pensiero cinese ma il suo scopo profondo è raccontare l'identità occidentale attraverso un processo di distacco, di allontanamento in grado di far riflettere su ciò che diamo per scontato. "La Cina ci permette di prendere le distanze dal pensiero da cui proveniamo, di rompere con le sue filiazioni,- scrive il filosofo - di interrogarlo dal di fuori e quindi interrogarlo nelle sue evidenze, in ciò che costituisce il suo impensato." E' pertanto un libro sui miti occidentali, sui suoi eroi, ma soprattutto sull'idea che la Cina pone il dubbio della loro universalità.

L'efficacia, intesa come azione nel mondo, è in questo caso la discriminante, oggetto di analisi di due civiltà ancora molto lontane. L'archetipo del pensiero occidentale si fonda sulla costruzione di una modellizzazione, di una teoria e della sua applicazione, attraverso una sperimentazione sempre più efficace delle tecniche in grado di garantire il minor margine di errore. Per Clausewitz quel margine di errore rappresenta l'attrito, cioè la guerra, che appare inevitabile. Si esalta il rapporto mezzo-fine, la costruzione dell'obiettivo e dell'impegno/ingegno umano per raggiungerlo.

Il pensiero cinese non riconosce l'azione in questi termini, ma sembra piuttosto celebrare la "non-azione", intesa non come disimpegno, indifferenza o passività ma come riconoscimento che l'intervento umano può solo accompagnare la situazione, facilitarne gli sviluppi valutandone i "fattori portanti", in un contesto ove tutto scorre in maniera normale ed armoniosa. Non esistono obbiettivi, esistono solo processi, "la trasformazione non si vede, se ne vedono solo i risultati", allo stesso modo in cui non ci si accorge della crescita di una pianta, impercettibilmente graduale.

La globalizzazione crea inevitabilmente forme ibride di civiltà. La Cina, a partire dall'occupazione coloniale britannica, ha riconosciuto la potenza della tecnologia e della razionalità occidentale, mentre l'occidente - nel clamore del suo dominio - non potrà rimanere indifferente agli sviluppi "calibrati" del pensiero cinese, a partire dal quale urge sempre di più una riflessione profonda sulla propria identità e sull'incontro con l'altro.

Recensione a cura di Riccardo Giumelli

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