Né Stato, né nazione

Emilio Gentile, Laterza 2010

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Storico di fama internazionale, allievo di Renzo De Felice, Emilio Gentile s’interroga da sempre  sul tema del fascismo, del totalitarismo e negli anni Novanta è stato autore di un fondamentale libro sul tema del mito nazionale nell’Italia unita. Non poteva mancare, pertanto, una riflessione sulle celebrazioni dei 150 anni dall’Unità d’Italia, racchiuse in un libretto breve, agile che pone, tuttavia, molte questioni.
Il tema di fondo, che pervade i quattro capitoli, è lo smarrimento generale. Non solo e non tanto degli italiani, ma soprattutto di intellettuali e studiosi, coloro i quali dovrebbero concentrarsi sui fenomeni storico-sociali. L’originalità del libro sta però proprio in questo, in uno sguardo a 360 gradi sul nostro Paese, sulla sua identità, sulla sua cultura, delineando passaggi, continuità e discontinuità che tuttavia non riescono a lenire le preoccupazioni per una situazione che pare sfuggire da qualsiasi controllo politico e sociale. Ha senso parlare di stato-nazione in tempi di globalizzazione? Le risposte sono complesse. Interpretazioni contrastanti, opposte, si accumulano e si sedimentano nei quattro capitoli: i primi due nei quali l’autore confronta le celebrazioni dei 50 anni dall’Unità anche e soprattutto attraverso le parole di Giuseppe Prezzolini con i festeggiamenti attuali, nel terzo delinea il percorso e l’avvento del paradigma dello Stato-nazione, ed infine nel quarto immagina di scrivere l’ultimo capitolo del primo volume della Storia d’Italia nel XXI secolo, pubblicato nel 3111 dalla Casa Editrice Il Cosmopolita Nazionale, nella collana “Memorie Condivise”.
La difficile realizzazione del  progetto di uno Stato-nazione italiano fa’ sì che l’autore strizzi più volte l’occhio a Rosario Romeo “i vecchi Stati nazionali europei, in larga parte ridotti a fossili privi di vero contenuto morale e politico”, oppure a Hobsbawm quando sostiene che nazione e nazionalismo non costituiscono più “un elemento trainante e di prima importanza dello sviluppo storico”. Il libro pertanto pare muoversi su linee diverse, portate avanti simultaneamente e dialetticamente: “non sembra affatto che il fenomeno nazionale e gli elementi che lo compongono si siano incamminati sulla via del tramonto” come sostiene nella ricostruzione epistemologica del paradigma nazionale, ma al tempo stesso l’Italia è un “paese” ormai senza Stato né Nazione. Probabilmente le idee più significative emergono proprio alla fine, quando Gentile, immaginando di scrivere nel futuro un ultimo capitolo del primo volume sulla Storia d’Italia dubita che tale testo possa avere un seguito.
Anche noi pensiamo che la simultanea assenza di Stato e Nazione non debba essere vista come problema. All’opposto può e deve essere risorsa, perché il glocalismo sta teoricamente e nei fatti prendendone il posto. La costruzione glocalista può erigersi sulle macerie, ormai inevitabili, del paradigma nazionale, che, rispondendo a Gentile, in un dialogo virtuale, non può che sembrarci contingente e non definitivo e meno che mai “un’entità alla base della stessa natura dell’essere umano”.
Non possiamo non fare riferimento ad una citazione, riportata dallo storico, di D’Azeglio “gli italiani sono i più pericolosi nemici dell’Italia unita”. Per il marchese piemontese gli italiani c’erano già quando l’Italia fu fatta, ma per questo riteneva che gli italiani, nella loro lunga e profonda diversità culturale, preesistenti all’Unione potessero far affondare il progetto nazionale. Mi chiedo se in questo caso non avesse visto lungo, probabilmente gli italiani non sono stati fatti come avrebbe voluto, ma magari aveva intravisto gli italici, glocali e poco propensi a condividere il progetto di Stato-nazione.    
 

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