Questo libro affronta con spirito rigoroso, problematico e appassionato il tema della sfida posta all’umanità di oggi, complessa e multiculturale, dal riaffermarsi di culture (o forme identitarie) sempre più espressione di comunità nazionali, uniche per linguaggio, appartenenza etnica, tradizioni, religione.
A produrre quest’umanità - unita ma divisa, complessiva ma differenziata - è stato il processo di globalizzazione capitalista, in atto dai primi anni del novecento e manifestatosi a ritmi accelerati e con impeto travolgente nel periodo che va dalla fine della guerra fredda ai giorni nostri. Questo processo ha determinato una profonda mutazione degli equilibri mondiali ideologici, geopolitici e economici, e ha fortemente ridimensionato il ruolo dello stato quale custode dell’esistenza della rispettiva comunità nazionale.
La globalizzazione non ha portato come era nelle speranze di molti un collegamento del particolare con l’universale, l’uguaglianza fra le nazioni, l’uniformità dei valori e quindi un’unità del mondo. Il quadro offerto dalla situazione mondiale, giudicato con inquietudine dall’autore, si caratterizza al contrario per uno stato permanente di conflittualità provocato dalla contrapposizione fra culture diverse e in primo luogo dalle pretese egemoniche di quella occidentale.
L’occidente, individuato come “nemico”, si introduce nella realtà in molteplici forme utilizzando il proprio potere e il proprio sapere, convinto della valenza universale dei propri valori. Ma nell’interazione con le culture tradizionali vede trasformata, se non addirittura negata, la propria particolare concezione di umanità dolente, differenziata per appartenenza culturale, atteggiamento politico, condizione economica, che reagisce alle pressioni crescenti dell’età globale.
Ne consegue un’immagine di umanità che non corrisponde affatto alla visione di un’umanità pacificata all’insegna dell’accettazione dell’unità nel rispetto della diversità. Non quella ispirata allo spirito del cosmopolitismo che postula una coesistenza costruttiva fra una pluralità di attori nazionali basata su valori condivisi, né tanto meno quella propagandata dall’ideologia capitalista che preconizza l’avvento di un’unità fondata su un intreccio di interessi comuni.
Appare in ogni caso evidente che è con questa umanità, articolata in comunità differenti, soggette a ingiustizia e disuguaglianze ma risolute nel rivendicare la propria identità al di fuori e entro lo stato, che occorre confrontarsi. Ed emerge come sia necessario contenere i rischi evidenti della società multiculturale di deriva verso la discriminazione e il razzismo determinati da una politica di esclusione. D’altra parte, perseguire soluzioni efficaci ai problemi del muticulturalismo promuovendo una politica di inclusione presenta tutte le difficoltà inerenti all’essenza potenzialmente dirompente delle culture.
Sembra che le soluzioni sperimentate nella pratica di governo siano le seguenti.
- L’assimilazione. Sulla falsariga della secolare esperienza di matrice repubblicano francese o del melting pot statunitense. I limiti di questi modelli, quando non siano accompagnati da un robusto sostegno alle comunità straniere sul piano sociale, sono riconducibili alla tendenza di contrapposizione su base identitaria fra le culture originarie e quella ospitante.
- L’integrazione nella cittadinanza. Vale a dire l’adesione ai valori civici e politici comuni codificati all’interno di uno stato, prescindendo dall’appartenenza a culture particolari. A questo proposito spicca evidente la contraddizione tra il riferimento ai valori particolari di una formazione statale definita nello spazio così da separare cittadini e stranieri, e i valori universali riferiti a un’umanità attiva in condizioni di mobilità su scala mondiale, priva di un luogo di riferimento specifico.
- La soluzione multiculturale vera e propria. Che postula un’interazione costruttiva fra culture diverse fondata sull’ipotesi di una convivenza costruttiva e solidale. Due sono i limiti evidenti di questa scelta: i rischi che una comunità legittimata nel suo status di entità chiusa politicamente non si attenga alle regole comuni di cittadinanza; la soggezione dell’individuo alla cultura particolare della comunità con possibili derive di prevaricazione sulle libertà personali.
In ultima istanza, l’autore sottolinea che è al singolo individuo in quanto tale, teso alla piena realizzazione delle proprie potenzialità, che spetta il compito di affermare la propria identità, anche a costo di trascendere i vincoli della cittadinanza e dell’appartenenza a una cultura. Da questo discende come compito principale della politica la promozione di un’umanità plurale e solidale, libera dall’alienazione dei principi astratti e dalle costrizioni di culture definite in termini esclusivi.
di Paolo Calzini