La grande sfida contemporanea è di proporre nuovi paradigmi, ombrelli di senso che configurano e identificano l’attività umana. Si tratta di un'impresa affascinante ma al tempo stesso faticosa e non priva di rischi. L’errore nel quale si può cadere con maggiore facilità è quello di risultare banali, semplificando, oppure di ripetere, senza saperlo, idee già dette e scritte. Non è quest’ultimo il caso de “La struttura delle rivoluzioni economiche", titolo del nuovo libro di Sergio Ortino, professore ordinario di diritto dell’economia presso l'Università di Firenze e in passato, tra le altre attività, Direttore dell'area di ricerca Minoranze e Autonomie dell'EURAC.
Ortino non solo propone una riflessione epistemologica sul paradigma che già governerebbe e sempre più lo farà la contemporaneità nella sua essenza post-moderna, ma punta lo sguardo su quegli elementi, nella loro continuità, che avrebbero caratterizzato la formazione di ogni paradigma dell’esistenza umana. In altre parole, riconoscendo a priori il dinamismo culturale umano, la tensione verso il cambiamento dell’agire umano, l’autore prova a scorgere quelle strutture, le fondamenta, le essenze di ogni trasformazione sociale, e il loro riavvicendarsi e ripresentarsi ad ogni insorgenza di un nuovo paradigma.
E’ per questo che ritengo che si tratti di un vero e proprio trattato sull’identità umana, sulla sua complessità, intesa come una riflessione sulla conoscenza in senso lato, che si muove agilmente negli interstizi del mutamento (la rivoluzione) e della strutturazione dell’attività dell’essere umano.
Il titolo del libro prende spunto dal testo di Thomas Kuhn “La stuttura delle rivoluzioni scientifiche”, ma nel caso che qui discutiamo l’autore si spinge fino “a scorgere uno stretto collegamento tra le modalità con cui si esplica una data serie di tecnologie in un dato momento e in un determinato luogo e il sostrato materiale e spirituale delle società che su quelle tecnologie si fondano. Questo collegamento si manifesta in occasione di rivoluzioni economiche di portata epocale, allorché si modificano radicalmente non soltanto le tecnologie con cui l’umanità acquisisce e produce i propri beni di sostentamento, ma anche i valori sociali e le norme di comportamento, individuali e collettive”. Ciò significa che ogni rivoluzione economica produce una nuova struttura di riferimento, che si presenta come uno specifico paradigma, in grado di durare fin quando non ce ne sarà uno nuovo che spazzerà via quello precedente.
Provando a definire le continuità delle caratteristiche di tali strutture, Ortino individua cinque paradigmi “in corrispondenza delle cinque strutture espresse dalle rispettive rivoluzioni economiche”, che sono: esplorazione, appropriazione, discendenza, omogeneità e connessione. A questi paradigmi corrispondono straordinarie trasformazioni del comportamento umano: l’ominide si erge su due gambe e diventa raccoglitore e cacciatore, successivamente diviene agricoltore e pastore, poi da vita all’istituzione monarchica e alla discendenza, poi inventa e impianta lo Stato-nazione ed infine nell’oggi si caratterizza del concetto di rete, sociale ed informatica, di quello di comunicazione e del glocalismo, che nasce dalla frammentazione degli ideali post-westfaliani.
Tutto questo, qui sintetizzato a fatica, viene discusso ed argomentato in ben più di 700 pagine dense ed intense, dove convergono le più varie discipline scientifiche: economia, diritto, antropologia, psicologia, sociologia, partendo però dalla scienza del diritto economico, come presupposto per ricercare i fattori economici che sono all’origine delle norme giuridiche.
Questo ricco e corposo testo cerca, allora, di mettere le cose a posto, riconoscendo la consapevolezza che molto dovrà essere ancora fatto e spiegato. E’ non è deviante provare a trovare delle risposte anche a quelle domande che più richiamano all’attualità, poste, ad esempio da un punto di vista glocale, dalla crisi economica e della finanza mondiale, dalle conseguenze di vulcani che eruttano senza tregua o da pozzi petroliferi guasti che non permettono il blocco delle fuoriuscite di greggio.
Per concludere, si ritiene importante concentrare l’attenzione sulla consapevolezza che l’autore pone nella definizione del passaggio che stiamo vivendo dal paradigma dell’omogeneità, che ha caratterizzato tutta l’attività dello Stato-nazione, a quello che oggi caratterizza i processi della globalizzazione/glocalizzazione.