La Società Cosmopolita

U. Beck, Il Mulino, Bologna 2003

Il noto sociologo tedesco Ulrich Beck è autore di libri conosciuti e apprezzati mondialmente come "Che cos'è la globalizzazione?", "La società del rischio", "Libertà o capitalismo?", "La società globale del rischio" eccetera.

"La società cosmopolita" (Il Mulino 2003) è un vero e proprio vademecum di un nuovo modo di pensare e interpretare la realtà che ci circonda.
Beck usa il termine "cosmopolita" in un'accezione rivista e corretta rispetto al suo significato corrente: qui non si parla infatti più di un vago e ideale amore per l'umanità tutta ma, citando l'autore, di uno sguardo che si interroga sul "senso del mondo, senso della mancanza di confini. Uno sguardo quotidiano, vigile sulla storia, riflessivo. Questo sguardo dialogico nasce in un contesto in cui confini, distinzioni e contraddizioni culturali svaniscono. Esso non mostra soltanto la 'lacerazione', ma anche le possibilità di organizzare in una cornice culturale multietnica la propria vita e il vivere insieme".
Sin dalla premessa, Beck si scaglia contro ciò che bolla come l'errata teoria territoriale dell'identità. "Ciò non toglie che la teoria territoriale dell'identità sia un errore fatale, che possiamo definire errore-prigione dell'identità. Perché le persone diventino consapevoli di se stesse e agiscano politicamente non è necessario tenerle separate le une dalle altre, né orientarle e organizzarle le une contro le altre, men che meno nello spazio di una nazione". L'identità odierna di coloro che abitano il pianeta Terra sta, infatti, assumendo viepiù le sembianze di un composito intreccio di appartenenze collegate fra di loro secondo lo schema della rete.
"La globalizzazione - scrive Beck - implica la nascita di lealtà multiple e lo sviluppo di molteplici stili di vita transnazionali" e più in là sintetizza così li suo pensiero: "Sguardo cosmopolita significa che in un mondo di crisi globali e di pericoli generati dal progresso le vecchie distinzioni - tra dentro e fuori, nazionale e internazionale, noi e gli altri - perdono il loro carattere vincolante e che per sopravvivere c'è bisogno di un nuovo realismo, un realismo cosmopolita". Inseguito, Beck approfondisce così il suo rifiuto degli ormai obsoleti steccati nazionali: "In base all'immagine dello sguardo nazionale la cultura viene intesa come unità territorialmente delimitata, introvertita; tra le culture domina il silenzio (che nel migliore dei casi si pone in ascolto) dell'incomparabilità (incommensurabilità) dei punti di vista. La fede in ciò esime dal lavoro del dialogo, conduce con una certa necessità all'imperialismo, allo scontro di culture, allo scontro di civiltà (clash of civilisations). L'assurdità di questo modello-container della pluralità balza all'occhio: ad esempio, il bilinguismo non può e non deve esserci, poiché cancella e mescola i confini linguistici ed etnici tra le culture". Infatti, ribadisce Beck, "il nazionalismo metodologico pensa e studia la dimensione sociale, quella culturale e quella politica mediante categorie del tipo 'o... o', mentre il cosmopolitismo metodologico pensa e studia la dimensione sociale e quella politica servendosi di categorie del tipo 'sia... sia'".
Con questo saggio, la cui ricchezza di temi è dimostrata dai titoli dei capitoli che lo compongono - "Senso del mondo e mancanza di confini", "Come sarà possibile la democrazia nell'epoca della globalizzazione?", "Il cosmopolitismo radicato", "La prospettiva cosmopolitica. Sociologia della seconda modernità", "La società cosmopolita e i suoi nemici", "Otto tesi per ridefinire il potere nell'era globale", "La minaccia terrorista. La società globale del rischio rivisitata", "La guerra postnazionale", "Com'è possibile una critica interculturale?" - Beck si candida ad essere il capostipite di quel "cosmopolitismo metodologico" che lui stesso teorizza, et pour cause...
Concludendo, non posso esimermi dal commentare un'intuizione di Beck che, nell'ambito dell'italicità, si sta già traducendo in realtà. Il movimento di aggregazione transnazionale italica è infatti il bozzolo di quelli che Beck definisce come "partiti mondiali perché pongono al centro della fantasia politica, dell'agire e del costruire politico la globalità e in questo modo contraddicono sia programmaticamente che istituzionalmente, attraverso una politica di alternative concrete, le priorità fisse e bloccate del nazionale. I partiti cosmopoliti non consistono mai soltanto in determinati contenuti, ma sempre anche in un nuovo concetto, in nuove strutture e isituzioni del politico che offrono una piattaforma per affrontare e risolvere questioni in primo luogo transnazionali. Il fine è sempre un'apertura, una riforma dei sistemi politici nazional-statali per le questioni 'glocali".

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