La globalizzazione che funziona

Joseph Stiglitz, Einaudi, 2006

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L'ultimo libro del Nobel per l'economia Joseph Stiglitz s’intitola "Making Globalization Work" (la cui traduzione in italiano, "La globalizzazione che funziona" è imperfetta, dato che il senso dell'opera e quindi il suo titolo dovrebbero essere in realtà: "Far funzionare la globalizzazione"). Ed è proprio di ciò – far funzionare la globalizzazione – che ci parla l'autore ritenendo che la globalizzazione non sia un destino inevitabile ma un'opportunità per tutti, a debite condizioni, però.

Stiglitz ci avverte che una parte del mondo globalizzato potrebbe anche fare diversi passi indietro rinunciando a interagire e ad aprirsi al contesto globale (cosa già accaduta durante le "piccole globalizzazioni" del passato) se i processi globali saranno ancora affrontati e governati come lo sono stati finora, ovvero, secondo l'autore, in modo poco democratico.

"L'atteggiamento nei confronti della globalizzazione – scrive Stiglitz – è profondamente cambiato negli ultimi dieci anni. In linea di massima, il dibattito non è più 'pro' o 'contro' la globalizzazione. Ci siamo resi conto di quali enormi potenzialità positive siano racchiuse in questo processo: quasi metà del genere umano si sta integrando nell'economia globale. (…) Alcuni ritengono che la globalizzazione sia inevitabile e che la si debba semplicemente accettare così com'è, con tutte le sue pecche. Ma poiché il mondo, per la maggior parte, vive in democrazia, se la globalizzazione non andrà a vantaggio di tutti la gente si ribellerà. Si possono ingannare le persone, sì, ma non all'infinito. Per un po' possono anche credere che si soffre oggi per stare meglio domani, ma dopo un quarto di secolo o anche più, queste storie perdono di credibilità".

Stiglitz ritiene, insomma, che la globalizzazione sia una grande opportunità per l'umanità, ma che finora sia stata governata in modo "geloso" (a proprio vantaggio) da chi deteneva le leve del potere e cioè il mondo industrializzato, le grandi corporations e gli Stati Uniti in particolare.

Oggi, in alcuni consessi di altissimo livello, si va stabilendo un'agenda che ha identificato alcune problematiche che andrebbero affrontate coi fatti e non a parole per consentire uno sviluppo più omogeneo: la diffusione della povertà, gli aiuti internazionali e la cancellazione del debito, l'aspirazione a un commercio equo, i limiti della liberalizzazione economica, la tutela dell'ambiente, un sistema di governo globale.

Stiglitz, noto esponente "liberal" e già consigliere del governo Clinton e chief economist della Banca mondiale, è convinto che i problemi del mondo globalizzato vanno curati risparmiando sugli enormi costi provocati dalla conflittualità sociale limitando d'altro canto la logica dei profitti dei mercati e di una finanza deregolamentata e a corto termine.

Il suo messaggio intrinsecamente glocal è che bisogna superare gli egoismi delle dimensioni locali (nazionali) per valutare le opportunità in un contesto onnicomprensivo. In parole povere, tutti quanti devono cominciare a pensare in modo globale. Naturalmente, "un mondo migliore è possibile" (è il sottotitolo del libro) solo in presenza di tangibili politiche di sviluppo per tutti.

Tuttavia, la profonda convinzione dell'autore che "si può tornare indietro", rinunciando almeno in parte alle connessioni globali, rischia di apparire utopica se non ideologica. Come nel caso dell'industrializzazione dell'Ottocento, la glocalizzazione, più che un processo volontaristico, è il risultato di una profonda trasformazione delle società umane e come tale, se pure non è esente da rallentamenti, si tratta di un processo per certi versi ineluttabile. Certo, riuscire a governarlo in modo adeguato è uno dei problemi à la carte del futuro prossimo

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