Luciano Canfora non è certo nuovo nel proporre accostamenti tra il mondo antico, in questo caso greco con riprese di diverse epoche storiche, e l’attuale. È innegabile, infatti, che un argomento come l’utopia sociale, nel nostro caso quella celeberrima evocata da Platone nella “Repubblica”, abbia fatto riflettere numerosi pensatori fino ai tempi nostri.
Nel volume “La crisi dell’utopia – Aristofane contro Platone”, di recente pubblicazione, Canfora pone inizialmente l’accento sull’accoglienza non propriamente benevola delle utopie sociali platoniche.
È da questo dato di fatto – l’utopia sociale mette in dubbio la conservazione dello statu quo in ogni società e in ogni tempo – che parte l’efficace discorso di Canfora: quanto di utopico riesce a superare nei fatti le forche caudine di usi e costumi acquisiti e, soprattutto, quanto di utopico e progressivo è sopportabile e sopportato da società diverse? Se, insomma, l’utopia (anche quella platonica) marcia con passi lenti ma sicuri in ambito sociale, anche la ricerca dell’”uomo nuovo” proposto da Platone non è stata affatto vana.
Ed è proprio in quest’ottica, leggendo l’interessante volume di Canfora, che ci si può porre anche la fondamentale questione della riorganizzazione socio-politica al tempo della glocalizzazione e dell’avvento (o ritorno che dir si voglia) di comunità umane “a forma di civilizzazione” che si allargano spesso e volentieri su tutta l’estensione dell’orbe terracqueo.
L’uomo nuovo dell’era del glocal, l’italico ad esempio, potrà allora riassumere in sé alcune caratteristiche di fatto cosmopolite di un civis romanus di storica memoria avendo naturalmente presente che oggi “la civiltà romana si fa senza Roma”, ovvero in assenza di un centro egemone?
Citando Canfora, è chiaro che è “una costante umana, quale che sia la forma in cui nel tempo essa viene espressa, la istanza che punta alla formazione dell’‘uomo nuovo’, il rifiuto cioè di rassegnarsi alla rassicurante e paralizzante saggezza radicata nel convincimento, tipico del realismo classico, della immutabilità della natura umana”.
A cura di Sergio Roic