Esistono sempre più persone, nell'epoca della globalizzazione e della mobilità transnazionale che la caratterizza, che nel corso della loro vita - in contingenze drammatiche e per così dire coercitive - attraversano più continenti, più società, più “mondi”, più culture. Molte, fra queste, “soccombono” lungo questi percorsi, si configurano come “vite negate”, e spesso concludono in modo tragico (il Mediterraneo, ad esempio, è sempre più un “mare di morti”) un'esistenza destinata a non lasciare alcuna memoria.
Altre, invece, anch'esse “in fuga dalle tenebre”, riescono - per capacità personali e insieme per contingenze fortunate - a riemergere, ad autodeterminarsi e a prendere in mano il loro destino. Raccontano le loro esperienze, e lasciano memoria della loro avventura diasporica.
E' il caso dell'africano Jean-Paul Pougala, figlio di un notabile camerunense, cacciato di casa dal padre (trenta figli da varie mogli) con la madre, emigrato in Europa, che giunge in Italia, come tanti altri sopravvive a stento inventandosi ogni giorno la vita, riesce a studiare e laurearsi, diventa infine un piccolo imprenditore che, per la sua attività, “va e viene” fra Europa, Africa e Cina, e frequenta così quasi quotidianamente mondi diversi e lontani. Pougala, oltre a questo, cura la sua vita privata: si sposa e ha quattro figli. Coltiva, nel contempo, anche l'impegno politico. Si batte per l'unità africana, per l'unità europea, per la promozione di una cittadinanza cosmopolitica, come membro attivo dei movimenti federalisti africano, europeo e mondiale. E' il prototipo, per così dire, dell'uomo globalizzato, diasporico, ibridato, segnato da una pluralità di identità, di appartenenze, anche di cittadinanze, consapevole della sua condizione e delle responsabilità che ne derivano.
Non deve stupire, quindi, che l'autobiografia di Pougala abbia in qualche modo i tratti di un'avventura picaresca, di un romanzo ai confini del possibile. Come è noto, spesso, la realtà riesce a superare la fantasia.
Leggendo il libro, viene in mente quanto sarebbe necessario, e utile ai nostri comuni destini (per capire davvero chi siamo e cosa stiamo diventando), raccogliere e raccontare le innumerevoli storie diasporiche che segnano i nostri tempi. Fare delle biografie e delle autobiografie delle persone “in diaspora” il genere letterario “testimone” del nuovo demos emergente del XXI secolo. Scopriremmo un mondo nuovo declinato “al plurale”, aperto alla diversità e consapevole che l'identità si costruisce nella relazione e nella rete, non nel “recinto” delle proprie origini.
Le “tenebre” - la metafora del libro di Pougala – sono nel XXI secolo i conflitti identitari, gli scontri di civiltà, le guerre “infinite” fra un bene e un male metafisici. Per sfuggire all'ombra di queste tenebre, può essere decisivo il ruolo delle diaspore, dei nuovi popoli glocali testimoniati da personaggi come Pougala, che abitano più mondi e che legano con le loro reti più società e più culture.
E tutti, per sfuggire alle tenebre, dovremmo porci in qualche modo, almeno mentalmente, “in diaspora”, anche vivendo tutta la vita nello stesso luogo.
Giampiero Bordino