Recentemente, durante un viaggio in treno, ho trovato pubblicizzata una nota marca di cellulari con uno slogan impresso nei sedili dei viaggiatori che enunciava: “Immagina di affacciarti sul tuo mondo ogni volta che vuoi”. Poiché in quel periodo stavo proprio leggendo il libro in oggetto per questa recensione, come non mai mi sono apparse evidenti alcune questioni trattate dagli autori, due sociologi di fama mondiale (uno americano che insegna all’University of Wesleyan, Connecticut, Usa; l’altro nato in Australia ma attualmente docente all’University of Kent, Canterbury, Inghilterra). In effetti, come già chiaramente il titolo esprime, i due studiosi hanno voluto descrivere, a partire da alcune delle tesi più diffuse sull’individualismo e di cui tanto è stato detto e scritto, cosa sta cambiando e cosa ancor più cambierà in futuro nell’identità individuale, nella costruzione di se stessi in un mondo che ormai è sempre più globale/glocale.
Lo slogan citato sopra mi è sembrato una buona sintesi di ciò che sta accadendo a ognuno di noi, essendo consapevoli o meno dei mutamenti. Ci affacciamo, attraverso le nuove tecnologie informatiche e comunicative globali, su un mondo (il proprio) quando vogliamo e nei modi che vogliamo. E’ quindi un nuovo individuo quello che appare sulla scena della globalizzazione, libero – se ne ha le risorse – di poter consumare senza impedimenti, avere a disposizione tutto ciò che desidera per mettere insieme i “pezzetti” del sé e farne, se non proprio l’oggetto/soggetto del proprio culto, almeno la realizzazione del sé immaginato, appagato nella sua totalità.
Gli autori tuttavia aggiungono molto altro. Se siamo giunti nell’era dell’individualismo solo nella metà del XIX secolo, con la prima denominazione (quella d’individualismo) da parte di Alexis de Tocqueville, dobbiamo ricordare che le classi agiate avevano già una consapevolezza piuttosto chiara dell’identità individuale. Si parla tuttavia di era dell’individualismo in quanto il concetto, almeno negli Stati Uniti e nei paesi di cultura occidentale, si diffuse largamente con lo sviluppo della media borghesia e dell’industrializzazione massiccia.
E’ per questo che Elliot e Lemert pensano che fino ad oggi nel mondo occidentale abbiano prevalso due individualismi: uno di matrice più europeista – individualismo manipolato – che pensa all’individuo come soggetto costretto a muoversi in situazioni e contesti sociali molto più forti di lui, che tendono a crearlo e modificarlo (sono le tesi della Scuola di Francoforte deluse dalle derive totalitarie europee). Esiste anche un individualismo isolato, quello teorizzato soprattutto negli Stati Uniti da Daniel Bell, Allan Bloom, Richard Sennet, Robert Bellah, i quali puntano il dito su un individuo separato dagli altri, isolato, privo di legami, anonimo e ossessionato quasi esclusivamente dal guadagno e dal successo. Le nuove teorie, con tutto ciò, fanno riferimento all’individualismo riflessivo, a partire dalle idee postmoderne e contemporanee di Zygmunt Bauman, Anthony Giddens e Ulrich Beck. Un individuo quest’ultimo obbligato, ma anche motivato, a monitorare continuamente se stesso ed il mondo che lo circonda, in un processo infinito nella definizione di sé, degli altri e di tutta la realtà sociale attraverso uno scambio dialogico e dinamico. Questi stessi concetti sono espressi anche nel Manifesto dei Glocalisti di Piero Bassetti. Il nuovo individuo agirà globalmente e localmente, due dimensioni delle quali riconosce le conseguenze reali nella sfera sociale. Per Lemert e Elliot questo individuo modificherà anche i propri aspetti emotivi, dove, tra le altre cose, violenza e aggressività sono atteggiamenti possibili e realizzabili.