L’analisi di Nawratek si modula idealmente lungo tre quesiti: quale fenomeno definisce l’espressione rivoluzione urbana? Quali sono le premesse che ne determinano valore e urgenza? Quale, infine, una sua possibile traduzione operativa?
Il quadro suggerito dalle sue risposte è originariamente provocatorio. Quella urbana deve essere pensata, infatti, quale rivoluzione non tanto e non solo nei termini o negli ambiti della governance, bensì preliminarmente e a livello più strutturale, quale risignificazione dell’identità e del ruolo che le città stesse possono e devono avere. Città, o per meglio dire, abbandonando la nostalgica visione dell’agorà, aree urbane, se è vero che le prime, a fronte di un’ampia letteratura celebrativa e ottimistica, versano invece in uno stato inerziale o di crisi, poiché laddove si gioca il loro valore nell’intersezione con i flussi mondiali, esse si riducono a nodi vuoti, ricettacoli passivi di movimenti che le trascendono e le riducono a meri giacimenti di risorse da sfruttare.
Le aree urbane, insiste Nawratek, devono perciò ripensare se stesse per diventare soggetti attivi nella contemporaneità glocale. Fare questo implica la risemantizzazione di categorie concettuali ormai obsolete, l’interruzione di narrative univoche incapaci di cogliere la natura plurale ma non per questo necessariamente discordante dei soggetti urbani: ciò significa, anzitutto, rinunciare o, almeno parzialmente, complicare l’idea universalmente sancita della modernità quale dimensione liquida e omnipervasiva, cui va invece opposta l’idea di come il paesaggio contemporaneo si componga di pieni e di vuoti e di come questi ultimi, lungi dall’essere inevitabili spazi di divisione e frammentarietà interna, possano diventare margini effettivi di operatività autentica e autonoma del soggetto urbano.
Per farsi interlocutori autorevoli, soggetti di narrative che frantumino il discorso unilaterale del profitto, le aree urbane devono pertanto ripensare i parametri con cui definire la propria identità; in questo senso, suggerisce l’autore, opposizioni quali spazio pubblico/spazio privato vanno a cadere a favore di una nuova mappa fatta di spazi intimi o d’interazione e di differenti livelli in cui è possibile interfacciarsi vicendevolmente, considerando inoltre la pluralità di persone che gravitano nell’orbita urbana senza essere necessariamente cittadini.
Sono, pertanto, cinque i punti che Nawratek individua, in conclusione, come possibili direttrici di una rivoluzione urbana: anzitutto il rovesciamento della situazione attuale, facendo della città il soggetto e del mondo una sua risorsa; in secondo luogo comprendere come la città, in termini e proporzioni differenti, appartenga però a chiunque venga in contatto con essa; terzo, fare i conti con la componente di architettura e geografia immobile delle aree urbane, che non può essere piegata ai dettami dei flussi globali, ma al contrario deve valorizzarsi nel rapporto con gli stessi; quarto punto, essere consci del fatto che la città non è un’azienda destinata al profitto e interessi a lungo-termine devono perciò prevalere; quinto e ultimo punto, ricordare che le aree urbane, in quanto differenziate al proprio interno, richiedono una narrativa che ascolti e dia voce alle molteplici potenzialità che la identificano.
Recensione a cura di Veronica Frigeni