European Glocalization in Global Context

A cura di Roland Robertson, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2014 

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Nel 1952, su invito della BBC, Arnold Joseph Toynbee tenne una serie di conferenze sui temi trattati negli ultimi quattro volumi di A Study of History, che furono poi raccolte in un libretto dal titolo The World and the West. In quelle pagine, lo storico e internazionalista britannico dedicò la sua attenzione al rapporto tra il mondo e l’Occidente con l’obiettivo di mostrare gli effetti che l’irradiazione e l’ibridazione della cultura europea avevano prodotto sulle altre civiltà nel corso dei secoli. Per molti versi, il fenomeno di «occidentalizzazione» del mondo descritto da Toynbee costituiva una prima teorizzazione – pur se ancora piuttosto confusa – di due processi che sarebbero diventati centrali nelle scienze sociali qualche decennio più avanti: vale a dire, la globalizzazione e la glocalizzazione.

Entrambi questi processi sono legati a doppio filo alla riflessione del sociologo Roland Robertson, di cui è recentemente uscita presso l’editrice Palgrave l’opera European Glocalization in Global Context. Il volume curato da Robertson comprende numerosi saggi di vari autori che analizzano in maniera innovativa l’Europa all’interno delle trasformazioni del sistema globale. I contributi che compongono il libro accompagnano il lettore, in maniera originale, alla scoperta di ciò che unisce o differenzia l’Europa e il mondo. Partendo dalla semiotica, Franciscu Sedda interpreta l’Europa come storia di un costante e plurale processo di glocalizzazione. Gli fa eco Paolo Demuru, che analizzando “il gioco più bello del mondo”, sottolinea l’influenza del calcio europeo su quello brasiliano. C’è spazio anche per lo studio di Andrea Esser sui format televisivi e per quello di Debra Gimlin sui canoni della bellezza in Occidente e nel resto del mondo. Assai interessanti si rivelano le conclusioni di Ewa Morawska su un fenomeno molto attuale come quello dei flussi migratori, oltre che l’attenzione posta da Victor Roudometof sui contatti e i ‘confini’ tra cristianità europea e ortodossa. Infine, riflettendo sulla diffusione della democrazia, Christopher Kollmeyer contrasta i luoghi comuni di chi ottimisticamente vede nella globalizzazione un processo in grado di aiutare alla democratizzazione dei regimi autoritari e, fornendo numerose evidenze empiriche, illustra come la crescente connettività del sistema globale dischiuda non solo possibilità ma anche rischi per la diffusione dei sistemi democratici.

Nei capitoli vergati da Robertson, posti in apertura e chiusura del testo, è invece possibile scorgere i motivi e le intuizioni che hanno attraversato più di trent’anni di studi e ricerche. Il processo di «Europeizzazione», come «istituzionalizzazione dell’idea di Europa», rappresenta per Robertson un imprescindibile riferimento con cui rileggere il fenomeno della glocalizzazione. E, allo stesso tempo, l’occasione di riflettere sul presente e sul futuro dell’Europa. Caratterizzato già storicamente da una forte frammentazione politico-culturale e da un’incessante instabilità dei confini territoriali, il Vecchio Continente si trova ancora oggi in preda a indipendentismi, sovranismi populistici e pressioni esterne, che sembrano sempre più condurlo verso un’ulteriore provincializzazione. Infatti, la crescente importanza dello «spazio» (non solo in senso geografico, ma anche come costruzione sociale), insieme all’ascesa competitiva di altri «luoghi» del sistema globale, appaiono condannare l’Europa a un ruolo ancora più «relativo» nell’imminente domani. Mettendo a confronto il nostro Continente con il resto del mondo, così come aveva già fatto in maniera ‘pionieristica’ Toynbee, Robertson sottolinea pertanto i numerosi rischi nascosti nella sempre più diffusa «connettività» tra i vari nodi di cui è composto il sistema globale.

Attraverso la convergenza d’interessi scientifici differenti e un approccio fortemente multidisciplinare European Glocalization in Global Context si candida a essere un contributo innovativo e fecondo per lo sviluppo della disciplina degli European studies. Inoltre, rappresenta un utile spunto di riflessione sul mondo, perché, come ricorda Robertson, l’«educazione» è il solo strumento con cui fuoriuscire dalle tante forme di parrocchialismo che ancora dominano il sistema globale e impediscono l’affermazione di un orizzonte genuinamente glocale.

 

Recensione a cura di Luca Gino Castellin, ricercatore presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.

 

 

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