L'italicità: un paradigma per nuove mobilità

Intervista al Prof. Remigio Ratti

Di recente sono stati pubblicati – a cura di Pietro Di Pretorio e Rita Unfer Lukoschik – gli Atti del convegno “Lingua e letteratura italiana – 150 anni dopo l’Unità”, svoltosi all’Università di Zurigo (30.3-1.4.2011). Abbiamo intervistato l’economista Remigio Ratti, in merito alla sua interessante relazione “L’italicità: un paradigma per nuove prossimità”.

Professor Ratti, a prima vista sembra evidente che l’italiano sia una lingua in crisi in Svizzera, nonostante sia una delle quattro lingue nazionali riconosciute. Tuttavia, la lingua di Dante viene sempre meno insegnata nelle scuole e nelle università. Quali potrebbero essere i rimedi alla progressiva minor diffusione dell’italiano in Svizzera?
 
In realtà, come hanno affermato durante la tavola rotonda del convegno anche Renato Martinoni e Piero Martinoli, a causa del maggiore e diffuso benessere e dei più elevati tassi di scolarizzazione anche universitaria, la conoscenza di autori di lingua italiana è nettamente migliore oggi rispetto al passato. Vi è poi da notare la qualificata presenza nell’ambito universitario e politecnico svizzero di professori e scienziati italofoni. Oggi forse vi sono meno “parlanti attivi” italiani in Svizzera, o che accettino di dichiararsi tali (leggi: vi è più integrazione), ma senz’altro quelli che parlano la lingua di Dante sono più consapevoli del suo valore e delle sue prerogative. Siamo al cambiamento di paradigma, dovendosi il discorso elevare da quello dell’italofonia, a quello per lo meno dell’italianità e dell’italofilia. A mio parere, inoltre, il caso svizzero rappresenta un laboratorio per valutare quale possa essere il posto di una lingua e di una cultura nella globalità. La Svizzera è fondamentalmente una costruzione postmoderna per il suo essere Stato (federale) senza essere Stato-Nazione, senza mai aver identificato una delle sue quattro lingue con un territorio specifico: la realtà dei suoi 26 Cantoni essendo stata finora più forte rispetto ad alternative tradizionali di territorialità basate sulla lingua e sulle etnie. Così, è riscoprendo come dietro una lingua ci sia un capitale di diversità culturale da valorizzare che la questione linguistica trova nuove valenze e prospettive, funzionali alle sfide nazionali e della società civile. L’italiano e la sua cultura non sono una palla al piede degli svizzero italiani, sono un’opportunità non solo per la Svizzera italiana ma per la Svizzera intera, quando questa sensibilità italica viene testimoniata (al di là del territorio) e valorizzata – come è per fortuna il caso – anche da persone non di lingua madre italiana. Occorre dar peso agli elementi di costruzione di nuove coesioni sociali e culturali, il vero nocciolo per il successo a termine di una politica che non può limitarsi alla comprensione tra comunità linguistiche in senso stretto. Ogni svizzero di qualsiasi madrelingua dovrebbe essere incoraggiato, nello scoprire il proprio ruolo di ponte, piccolo o grande che sia.
 
Lei ha anche proposto un suo modello di inter-relazione applicabile alla realtà svizzera. Di cosa si tratta?
 
Se si decide di approcciare strategicamente la realtà svizzera, potrebbe venire utile quello che io chiamo “il trittico della prossimità”. Alla prossimità geografica – che, come detto, non corrisponde alla realtà storica svizzera e semmai rappresenta un pericolo – si affiancano una prossimità istituzionale e una organizzativa. Quella istituzionale è il “campo da gioco” e concerne le condizioni quadro, quindi le regole – esplicite ed implicite – che permettono o meno alle lingue, alla loro cultura e alla loro civiltà di riposizionarsi in un sistema aperto, piuttosto che in un sistema chiuso. La “prossimità d’organizzazione” concerne le relazioni tra attori; è la capacità di mettere in comune delle informazioni e un sapere frammentario attraverso interazioni tra organizzazioni non necessariamente in legame diretto con un territorio specifico. La lingua e la cultura italiana in particolare permettono la condivisione di uno stesso sapere (similitudine) o la partecipazione a uno spazio di relazioni (appartenenza) finalizzato. Riferendosi alla Svizzera, questo tipo di prossimità è stato finora l’anello debole, quando nel periodo della grande immigrazione italiana quella che oggi chiamiamo italicità (nel senso di condivisione di una lingua e una cultura) è stato purtroppo un fenomeno prettamente di facciata. L’indebolimento dell’italofonia è riscattabile mediante una strategia coerente, costruita attorno al trittico di nuove prossimità, in gergo “al fare rete” di stampo italico.
 
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