Come reinventare le politiche urbane

Nigel Thrift, geografo, Vice-Canchellor dell'Università di Warwick e autore del noto saggio "Città. Ripensare la dimensione urbana", Il Mulino, 2005 

In occasione del seminario del RISC "Come reinventare le politiche urbane. Dal territorio alle funzioni", abbiamo intervistato Nigel Thrift.

Intervista realizzata da Stefania Battistini il 18 settembre 2008

Professor Thrift, quali sono le politiche urbane più adatte, secondo la sua teoria, a rispondere ai mutamenti che sconvolgono i tradizionali paradigmi di spazio e di tempo?
Innanzitutto è bene tenere presente quanto il concetto di città si stia modificando. Entro il 2050 due terzi della popolazione vivrà in un contesto urbano. I nuovi spazi che si creano sono continuamente attraversati da flussi di vario tipo – umano, finanziario, tecnologico -, che richiedono sempre più di essere gestiti. La mobilità sta aumentando vertiginosamente e questo fa venir meno il concetto di “confine” in senso tradizionale. Per questa ragione è indispensabile creare un nuovo vocabolario che definisca esattamente le mutazioni in atto.

In vista di Expo 2015, quali sono gli elementi che Milano, intesa come glocal city, dovrebbe sviluppare?
Per qualsiasi città è fondamentale la mobilità dei talenti a livello mondiale. Oggi il concetto di manodopera e di lavoro sono molto cambiati: la creatività e l’innovazione sono diventati fattori indispensabili e aumenta la valorizzazione del talento. Solo le città – e all’interno di queste, le aziende - che saranno in grado di attirare questi cervelli riusciranno a vincere. Dovranno farlo sviluppando luoghi dove i talenti possano incontrasi e scambiarsi idee in grado di aprire nuove prospettive: cafè, bar, posti aperti ventiquattrore ore. Dovranno essere un acceleratore di innovazione favorendo l’interconnessione tra le persone che vivono nello stesso luogo. Bisognerebbe trasformare la città in un vero e proprio hub, in cui i cervelli lasciano le tracce della propria conoscenza. Non è un caso che i piani urbani di successo siano intrisi di elementi come talento, creatività e innovazione.

Qual è il ruolo delle Università e dei centri di ricerca?
La formazione è nodale: in Gran Bretagna si mettono in atto politiche in grado di intercettare i talenti sin dalla giovane età per svilupparne le abilità al massimo. È questa la vera economia della conoscenza. Se nel Diciannovesimo secolo il motore dell’economia era la ferrovia e nel Ventesimo l’automobile, oggi, nel terzo millennio, il fulcro propulsore dovrà essere l’Università. Tutte le città britanniche stanno cercando di creare quartieri culturali o cluster di creatività e conoscenza. Da qualche tempo Birmingham e Coventry hanno messo in atto politiche per diventare comunità scientifiche di punta, denotandosi come città delle scienze. I collegamenti principali di queste città sono l’università e le aziende che producono ricerca fondamentale e applicata. Per qualsiasi Paese è vitale investire su entrambe. È la linea che del governo britannico e anche di quello cinese; gli Usa investono già il 2,6% del Pil in ricerca fondamentale e anche il Medio-Oriente si sta muovendo in questa direzione. E in questo contesto la ricerca di base si svolgerà sempre più nelle Università.

Quali sono le politiche urbane più adatte per fare da acceleratore a questi processi?
I programmi di azione sono fondamentali, ma è sempre difficile dire a priori quali siano gli elementi che determinano il successo di una città. Di certo sono basilari l’alto tasso di tecnologia, la presenza di piccole e medie imprese, di lavoratori autonomi e di una forza lavoro dotata di educazione superiore.

Come risolvere il gap che si è creato tra istituzioni radicate sul territorio – e legate per loro natura a vincoli politici e amministrativi -, ma che devono governare processi transterritoriali, che valicano i confini regionali e nazionali?
Ci stiamo gradualmente evolvendo verso istituzioni che hanno la capacità di adattarsi a questi flussi. Lo Stato moderno non si limita a osservare i luoghi, ma guarda con attenzione anche ai flussi che li attraversano, determinando dinamiche che superano decisamente i confini tradizionali. È un processo lento ma inesorabile.

Quale potrebbe essere una nuova definizione di “confine”? Com’è possibile governare spazi sempre più attraversati da flussi?
In questo nuovo mondo i confini non saranno più lungo le linee ma attraverso. Oggi tutto nel mondo è basato sulla capacità di accedere alle cose. Ci sono naturalmente diversi gradi di abilità nelle persone: la mobilità dipende dalla competenza e, per le persone molto mobili, i confini diminuiscono.  

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