Il ruolo della politica nell'era glocal
Una fra le letture più interessanti di queste ultime settimane è stata l’intervista a Zygmunt Bauman, apparsa su La Stampa del 28 agosto “La crisi? Senza politica, la globalizzazione diventa criminale”. Bauman fa una intelligente disamina di quello che secondo lui è il problema attuale della politica - intesa come attività delle pubbliche istituzioni - e cioè quello di non avere più il controllo su fenomeni come le nuove mobilità o le innovazioni introdotte dalla tecnoscienza.
Bauman dice: “Gli Stati si sono sempre fondati su due cardini: il potere (cioè fare le cose) e la politica (cioè immaginarle e organizzarle). La globalizzazione si muove senza politica. Ha bisogno di rapidità. Detesta i vincoli. Un po’ come la malavita. Le regole sono un ostacolo. Così i mercati più fiorenti nel mondo sono quello criminale e quello finanziario. Non importa se sono sporchi o puliti.”
Mi pare una riflessione estremamente seria e in gran parte condivisibile, anche se credo sia importante fare delle precisazioni. Non è del tutto vero che la glocalizzazione si muove senza “politica”, semmai è politica essa stessa e a muoverla sono proprio gli elementi che ne hanno determinato l’avvento: la tecnoscienza e – di conseguenza – la nascita di nuove mobilità e i nuovi mezzi di comunicazione, che hanno modificato le modalità e il grado di consapevolezza con i quali oggi gli uomini accedono all’informazione.
È in questo senso che, a mio avviso, si è verificata, non controllata dalle pubbliche istituzioni, ma animata da chi aveva la forza per farlo, una precisa politica, che continua a svilupparsi. È quella politica che è riassunta e interpretata dal concetto di “mondo piatto” di cui parla T. Friedman nel suo libro sulla glocalizzazione.
Dunque, la globalizzazione non si muove senza politica ma semmai lo fa prescindendo da quel prodotto culturale che è la politica tradizionalmente intesa. Per fare un esempio, potremmo dire che i fenomeni tipici della glocalizzazione trovano dei rappresentanti per certi versi più significativi in Steve Jobs, o in Mark Zuckerberg, piuttosto che in Obama (e lo cito perché proprio Bauman vi fa riferimento).
Si può dire di più, arrivando a toccare il tema del rapporto fra glocalizzazione e dimensione economica. La glocalizzazione non ha agito solo nell’unificazione del potere delle istituzioni ma ha anche scatenato un’altra fonte di potere che è quella dei cosiddetti mercati. Bauman ha ragione quando dice che gli Stati si sono sempre fondati sul potere e sulla politica, ma nel momento in cui il potere di fare le cose è definito dalla tecnoscienza o dall’economia, è chiaro che lo spazio per la cosiddetta politica per immaginarle e organizzarle si restringe fino a modificarsi. E allora succede che le istituzioni che una volta erano responsabili della politica si ritrovano a essere responsabili solo di regolare le modalità secondo le quali sia la tecno scienza che l’economia perseguono i loro obiettivi.
La politica, però, anche nel mondo glocal, resta sempre il luogo privilegiato per immaginare le cose e organizzarle, anche se deve farlo spostando l’oggetto delle sue riflessioni nella comunità dei consumatori e in quella scientifica. Questa è la vera sfida oggi, ed è una sfida che sconta il fatto che la glocalizzazione ha generato un mutamento irreversibile nei modi di esercizio della soggettività storica. In questa riflessione si inserisce anche il concetto di popolo. Chi sono quelli che oggi agiscono nei mercati? Sono le comunità funzionali sulle quali noi in Globus et Locus stiamo lavorando da tempo. Sono nuove realtà socio-culturali, risultato di diverse forme di mobilità. Sono gruppi di persone che hanno cominciato a utilizzare la rete come canale di comunicazione per condividere, oltre i confini nazionali, modelli di vita e interessi diversi. E la cui presenza chiede di ripensare a cosa significa essere popolo oggi.
È questo un dibattito che, con un approccio ispirato alla logica della rete, vorremmo considerare aperto a tutti.
Piero Bassetti
Presidente Globus et Locus
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