Idee per il futuro della civiltà italica: la Altreitalie Summer Academy 2011
Nell’anno della celebrazione dei 150 anni dell’Unità di Italia, la Summer Academy 2011 del Centro Altreitalie ha rappresentato un’occasione per riflettere sul significato della civilizzazione italica nel mondo, ma soprattutto per elaborare nuove proposte storico-politiche per il futuro della nostra cultura e della nostra identità.
Come vogliamo definire oggi la nostra presenza e che ruolo intendiamo assegnarle, nel mondo glocal in cui viviamo?
Di questo si è discusso durante la Summer Academy 150, grazie ai contributi di interlocutori - storici, antropologi, architetti, politologi, economisti e giornalisti - che, in un’ottica multidisciplinare, sono stati chiamati a elaborare una riflessione sul tema, ciascuno con un approccio diverso. Durante la prima giornata di lavoro, è stato fatto un concreto passo avanti per la costruzione di un network accademico italico, attraverso la firma di un accordo di partnership fra la University of Pennsylvania tramite il suo Center for Italian Studies del prof. Fabio Finotti e il Centro Altreitalie di Globus et Locus.
Nel suo intervento di apertura della giornata, Maddalena Tirabassi, Direttrice del Centro Altreitalie, ha posto come tema centrale l’esigenza di definizione identitaria della nostra civilizzazione e che oggi, alla luce dei nuovi fenomeni di mobilità diffusi nel mondo, si pone in modo ancora più evidente. Una riflessione ripresa anche da Piero Gastaldo, Segretario Generale della Compagnia di San Paolo, il quale ha evidenziato la necessità di cercare uno spazio post nazionale dove collocare il futuro dell'identità italiana, o, meglio, italica. Diaspore e nuove mobilità, processi di diffusione di saperi, nuovi stimoli culturali, sono infatti fattori responsabili del formarsi di logiche che si sottraggono alla collocazione in una dimensione statual nazionale e che richiedono invece un pensiero e una progettualità di tipo glocal.

Nel corso della giornata del 12, un tema emerso con evidenza è stato l’importanza del ruolo della città nel mondo globale, quale spazio di relazionalità e nodo catalizzatore di flussi glocali. Ne ha parlato l’architetto ticinese Mario Botta, che ha sottolineato, attraverso la presentazione di alcuni dei suoi più significativi lavori nel mondo, come la ricerca identitaria sia connessa al bisogno di riconoscersi dentro un territorio e in luoghi emblematici, simbolici e metaforici, capaci di evocare i tratti distintivi dell’identità di una civiltà. Ciò vale particolarmente nel caso dell’italicità, dove la città è il luogo nel quale più che altrove si esprime la nostra esperienza identitaria (e in questo senso, centrale è il richiamo a Milano e non a caso Botta ha definito la “sua” Mendrisio periferia della glocal city milanese).
Della città hanno parlato anche i due antropologi Carlo Capello e Francesco Vietti che, nella mostra “Turin earth” (nome che richiama la rete, grazie a una metafora espositiva che si rifà a Google earth) hanno riflettuto sulla Torino dei migranti e di come le nuove città glocali possano trarre linfa vitale dai flussi migratori.
Il passaggio di paradigma fra passato e futuro, fra italianità e italicità, è stato analizzato da Walter Barberis, curatore della mostra “Fare gli italiani”, il quale ha approfondito gli aspetti che hanno portato all’unità nazionale. Sul futuro della nostra civiltà e su come possiamo passare dall’unità degli italiani all’unità degli italici è stato invece chiamato a dare un contributo Piero Bassetti, presidente di Globus et Locus. Bassetti, nel suo intervento, ha analizzato il tema politico dell’unità e quali forme potrà assumere nel contesto post-nazionale, caratterizzato da pluriappartenze e pervaso dalle nuove mobilità.
Se è lecito attribuire ai 250 milioni di persone che chiamiamo italici un’appartenenza condivisa, si è chiesto Giovanni Lanzone, presidente dell’associazione The Reinassance Link, forse per riscoprirne il senso dovremmo dar vita a una sorta di Secondo Rinascimento, che, con il richiamo al talento e vocazione cosmopolita potrebbe creare una dialettica tra globale e locale e superare la ormai anacronistica condizione statual nazionale dell'epoca moderna.
La prima giornata si è conclusa con l’intervento di Fabio Finotti, direttore del Center for Italian Studies della University of Pennsylvania e promotore del recente convegno “From the unity of italias to the Unity of italics” dello scorso aprile, che ha presentato una serie di testimonianze letterarie sulle mobilità dopo l’unità.

Diversi interventi hanno contribuito a fornire elementi di contestualizzazione storico culturale al dibattito, come quello di Antonio Giusa, di Ammer (www.ammer-fvg.org) che ha parlato delle ricerche storiche svolte dall’associazione sull’emigrazione friulana, di Luisa Passerini, che ha fatto un excursus sulle componenti dell’identità europea e post coloniale, e Marina Bertiglia, responsabile dell’area didattica del comitato Italia 150, che ha parlato dei diversi livelli di criticità nell’inserimento scolastico dei figli di immigrati e delle iniziative promosse per favorirne l’integrazione (come la rilettura in chiave multiculturale delle fiabe di italo Calvino).
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