Editoriale
Glocalismo e multilateralismo: due strade obbligate per il Medio Oriente
Il recente conflitto libanese, le guerre irakena e afghana, la crisi iraniana, se analizzate in una prospettiva che vada oltre la cronaca, evidenziano due fondamentali “verità” di cui i decisori politici, Stati e attori non statali, sembrano costretti a tenere conto.
La prima è che gli attori locali dell’area - Stati, gruppi politici e religiosi, corpi sociali ecc. – non sono in grado di fare fronte, da soli, a questi conflitti e a queste crisi. Non sono evidentemente in grado, i paesi arabi cosiddetti “moderati” dell’area (Egitto, Giordania ecc.), che del resto non a caso hanno sempre visto con un certo favore l’intervento della comunità internazionale nei conflitti locali. Ma non è neppure in grado Israele che, dopo l’esito problematico della guerra libanese sul piano militare e politico, ha accolto con favore la proposta di interposizione dell’Unione Europea e un nuovo ruolo delle Nazioni Unite.
La seconda “verità” è che anche gli Stati Uniti, l’unica superpotenza rimasta dopo il crollo dell’URSS, non sono in grado di fare fronte adeguatamente da soli, in quanto attore globale, ai conflitti e alle crisi che sconvolgono l’area. Gli USA, come evidenziano l’esperienza delle guerre afghana e irakena e prima ancora quella del lungo conflitto israelo-palestinese, possono svolgere positivamente questo ruolo solo in un quadro di riferimento multilaterale, nel contesto e in accordo con l’Europa e con la comunità internazionale.
Queste due “verità”, per quanto provvisorie e discutibili come tutte le verità storiche e umane, ci dicono ancora una volta che nel mondo attuale nessun problema è soltanto locale e che, nel contempo, tutti i problemi, inevitabilmente “glocali”, sono così complessi da richiedere l’impegno di più attori, in percorsi negoziali e decisionali pluri-istituzionali e multilivello.
Ciò che occorre, in altre parole, è l’avvio di nuovi percorsi di governance glocale multilaterale, la “fatica” di una ricerca in questa direzione tanto sul piano teorico quanto su quello della prassi politica. E’ esattamente questo l’impegno che, nella consapevolezza dei limiti del proprio ruolo e delle proprie forze, Globus et Locus si è assunta con il Progetto Global Governance. Una sfida decisiva per il mondo del XXI secolo, che se vuole sopravvivere deve rinunciare definitivamente alle pratiche illusorie del localismo e dell’unilateralismo che ne hanno segnato la storia nell’epoca pre-globale.
ASERI 1996-2006
Da dieci anni oltre la formazione
Milano, 12-13 ottobre 2006
Due giorni di incontri e workshop per festeggiare i dieci anni dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI) dell’Università Cattolica, che si concluderanno con la lectio Magistralis di Charles Kupchan, docente di relazioni internazionali alla Georgetown University, sul tema “Transatlantic Relations in a New Era”.
Scarica il programma dettagliato dell'evento
www.aseri.it
Programma RTSI
Alla ricerca dell'italicitàdi Fredy Franzoni (Radiotelevisione svizzera di lingua italiana)
“Ma l’italicità esiste?” E’ partendo da questo interrogativo che la Rete uno della Radio Svizzera in collaborazione con RAI International e con il supporto della Comunità Radiotelevisiva italofona e di Globus et Locus, ha realizzato un viaggio all’interno di alcune comunità italofone in Canadà, Francia e Germania. Un viaggio durato due settimane, a cavallo dei mesi di maggio e di giugno. Trovate il frutto degli incontri nella cinquantina di interviste, tutte nella versione integrale, che potete ascoltare sul sito www.rtsi.ch/dante. Gli stessi incontri sono stati alla base dei programmi radiofonici prodotti sia dalla Radio Svizzera sia da RAI internation(www.rainternational.rai.it/dantevagante)
Ma torniamo alla domanda iniziale. L’italicità esiste certamente quale elemento di identità culturale, soprattutto tra gli intellettuali che hanno vissuto, o stanno vivendo, il loro status di emigrante come opportunità di crescita e di sviluppo. Estremamente interessanti e stimolanti a questo proposito le riflessioni sviluppate ad esempio dalla rivista canadese Viceversa attraverso i contributi – spesso sofferti – di uomini come Antonio d’Alfonso e Lamberto Tassinari. Esiste poi la nuova generazione - quella della euro generation - che con iniziative quali www.cafebabel.com/it sta vivendo appieno la nuova realtà di una società multiculturale e multilingue che a seconda della realtà dei singoli Stati si è sviluppata in modi diversi. Interessantissimo il caso canadese, dove la politica voluta negli anni 70 da Trudeau permette ancora oggi al Paese nord americano non solo di accogliere, ma addirittura di cercare ogni anno decine di migliaia di nuovi emigranti e di vivere una situazione di grande tranquillità sociale.
L’italicità poi esiste certo anche come fenomeno di simpatia e di interessamento da parte delle altre comunità etniche nei confronti di tutto quanto è italiano o italico. Una simpatia che a volte diventa empatia, ma con la fragilità degli innamoramenti che a seconda delle mode o dei colpi di testa possono anche sfiorire. E qui sta certo uno degli elementi fragili dell’italicità: ad attirare è soprattutto lo stile di vita, con quell’aureola di dolce far niente, che non tanto il rispetto per una cultura che è stata motore di grandi evoluzioni culturali, sociali, politiche. Questa almeno la sensazione raccolta gironzolando con il microfono in mano alla ricerca di tracce di italicità.
Terzo ed ultimo capitolo quello legato agli emigranti e ai loro diretti discendenti. Qui l’italicità assume una dimensione diversa. La vittoria della nazionale italiana di calcio crea unione, proprio come in Patria quando si festeggia contemporaneamente da Siracusa a Pordenone. Ma poi ciascuno torna a immergersi nella propria realtà quotidiana costituita, per i primi emigranti, da una terra di origine spesso idealizzata. I figli della seconda o terza generazione si identificano invece in una Patria non italica e in radici che affondano nei localismi dei dialetti e della cultura dei genitori. Risultato: il sardo si identifica più facilmente in una dimensione nord americana che non nei legami culturali con un piemontese, con Manzoni o il Rinascimento. Ancor meno il ticinese sente di avere radici comuni con il padovano, il sanmarinese o l’istriano.
In conclusione: “essere italici è bello”, ci diceva un emigrante del centro Italia a Colonia. Le profonde radici culturali su cui poggia l’italicità sono una garanzia per la sopravvivenza e anzi addirittura la sua crescita. La battaglia contro i tanti pregiudizi e luoghi comuni è però lungi dall’essere vinta. E non sempre chi vive nei territori italici o ne è ambasciatore all’estero aiuta a diffondere l’immagine del “geniaccio italico”, come ama definirlo il neo deputato canadese a Roma Gino Bucchino.
Giovani e globalizzazione
Convegno: “Le nuove generazioni in un mondo globalizzato di fronte alle sfide dell’integrazione”
Padova, 30 settembre 2006, Sala conferenze del Chiostro della Magnolia, Basilica del Santo
E' questo il tema del convegno promosso da padre Luciano Segafreddo, direttore del Messaggero di S. Antonio (edizione italiana per l'estero), e Armando Traini, presidente del Sodalizio Abruzzese Molisano di Padova. Al convegno aderiscono inoltre una trentina di Associazioni, Circoli e Federazioni operanti nel Nord Est d’Italia.
A inaugurare i lavori del convegno sarà il saluto delle autorità e la presentazione di padre Segafreddo, ai quali faranno seguito gli interventi di Piero Bassetti, presidente di Globus et Locus, sul tema "Come cambia la domanda dei nostri giovani nel mondo globalizzato", Vincenzo Corsi, sociologo all'Università di Chieti, sui conflitti generazionali, Cristiano Caltabiano, responsabile scientifico dell'IREF - Roma, sul volontariato nazionale e internazionale come prima esperienza d'integrazione.
Seguirà la tavola rotonda, introdotta da Edoardo Pittalis, vicedirettore ed editorialista de “Il Gazzettino”, sul tema: Cittadinanza attiva tra multiculturalità e indifferenza politica.
Il Programma del Convegno
La recensione del mese
Immaginari Postdemocratici,a cura di A. Abruzzese e V. Susca, Franco Angeli 2006
Questo libro riunisce e approfondisce gli interventi dei partecipanti a un convegno tenutosi nel 2003 a Roma sui temi: democrazia, new media e postmodernità.
Tracciando, come dice lo stesso titolo, degli “immaginari postdemocratici”, gli autori hanno cercato di capire i rapporti reciproci che caratterizzeranno nel prossimo e medio futuro gli scenari politici, le nuove tecnologie della comunicazione e le soggettività globali e locali emergenti, dando conto con intelligenza del passaggio dall'epoca moderna a quella post-moderna.
“La chiave postmoderna indicata da Michel Maffesoli – commenta il curatore Abruzzese – può aiutarci a comprendere che la nostra dimensione storica, culturale, sociale e antropologica ha tali elementi di discontinuità con la modernità e (soprattutto) con il 'pensiero' moderno da imporre una critica radicale dell'autorità”.
Gli indirizzi scaturiti sono molteplici, ma è indubbio che, come sostiene Derrick de Kerckhove riprendendo il discorso fondante di Marshall McLuhan, anche le forme della democrazia dovranno adattarsi alla nuova realtà mediatica che vede crescere la competenza telematica delle persone e la loro presa di coscienza come produttori e diffusori di opinioni in rete. La nuova realtà di internet, i blog, apre una nuova era anche per quel che riguarda la prassi e il consumo della politica permettendo e promettendo un nuovo tipo di democrazia e la creazione e la messa in rete di un numero sempre maggiore di opinioni e informazioni.
“Il blog in tal senso” sostiene sempre De Kerckhove “costituisce non la prefigurazione di una forma che verrà ma la cristallizzazione di un gruppo di influenza che già esiste. Nei paesi in cui si pratica il blog in maniera più massiva, iniziamo ad assistere allo sbocciare di alcune soluzioni politiche locali nonché al sollevarsi di questioni di policy decisamente mature (che superano l'obsolescenza delle cabine elettorali e le riduzioni delle proteste di piazza)”. Le forme di interazione fra i membri della comunità stanno, insomma, emergendo e si stanno caratterizzando più come “opinioni” che come “regole”.
Come ben sottolinea nelle conclusioni Alberto Abruzzese, il libro evidenzia “l’insorgenza di immaginari glocali in cui il tempo lungo delle narrazioni si frantuma nel tempo breve di connessioni e soggettività inattese”.