Seminario nel decennale di Globus et Locus
Come anticipato nella scorsa newsletter, il 15 giugno si è tenuto il Seminario "Risposte glocali alla prima crisi globale del XXI secolo ". L'Università Cattolica del Sacro Cuore ha sintetizzato le riflessioni emerse nell'incontro in un articolo che di seguito riportiamo.
Glocale, soluzione contro la crisi
Una riflessione “glocal” sulla crisi attuale per individuare nuove possibili strade da percorrere. Ma, anche, per ripensare ruoli e strumenti d’azione degli attori dello scacchiere mondiale. E’ stato questo il leit-motiv del seminario promosso da Globus et Locus, l’associazione nata dieci anni fa per volontà della Camera di Commercio di Milano e dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, allo scopo di promuovere l'analisi di problematiche legate alla dialettica tra globale e locale. Il seminario dello scorso 15 giugno è stato l’occasione per presentare il libro “Globus et Locus. Dieci anni di Idee e Pratiche.1998-2008”, che raccoglie i più significativi documenti e interventi di questo decennio.
Dando il via al dibattito, Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica ha affermato come in questi ultimi dieci anni ci siano state tante trasformazioni nel mondo a livello economico, politico e sociale. Citando l’ultimo saggio del politologo Theodore Lowi, La globalizzazione, la guerra e il declino dello stato, Ornaghi ha esposto la nuova tesi dello studioso americano secondo cui “quando la sovranità e l’autonomia dello Stato sono indebolite esso cerca di condividerle con i detentori di poteri privati”. Questa nuova tendenza nata nel mondo globalizzato, dove è lo Stato a condividere i poteri, cela il vero problema espresso da Lowi e ripreso da Ornaghi: spesso sotto una facciata di pluralismo vi è nascosto del corporativismo. Nel mondo globalizzato quindi, che dovrebbe esser frutto di rinnovamento e di azioni innovative, emergono invece comportamenti conservativi che lasciano disorientati.
Per Alberto Quadrio Curzio, preside della facoltà di Scienze politiche della Cattolica le trasformazioni avvenute negli ultimi dieci anni in ambito economico-politico hanno portato alla costituzione di un sistema globale a rete, legato da nodi. «Esistono tre grandi nodi nel mondo attuale e profondamente diversi fra loro: gli Stati Uniti, la Cina e L’Unione Europea». La Cina da tempo, sta scalzando gli Stati Uniti da prima potenza economica mondiale grazie alle sue immense capacità di crescita. Uno degli indicatori di perdita della leadership americana è proprio la fine della sovranità mondiale del dollaro come moneta riconosciuta. Ciò che è certo della crisi è che non sono ancora noti i tempi di uscita ma stanno cambiando molte cose: se la scarsa propensione al risparmio degli americani è stata una delle cause della crisi in quanto non riusciva più a finanziare gli investimenti interni ora invece, nel giro di poco più di un anno, è passata dall’1% al 5.8%. Dei piccoli passi verso una normalizzazione. Piero Bassetti, presidente di Globus et Locus, ha suggerito che in questo momento può essere utile trovare soluzioni che colleghino i diversi livelli di globalizzazione. «L'approccio glocale - ha osservato - è caratterizzato dall'incontro e dal dialogo fra attori globali e attori locali, nella prospettiva della costruzione di una maggiore forza negoziale comune».
Luigi Campiglio, pro-rettore dell’Università Cattolica, ha
sottolineato la necessità di «riprendere il cammino tenendo in considerazione le cause che hanno portato alla crisi odierna e farne tesoro. Questa è frutto di debito e la via d’uscita sono le soluzioni glocali». Una risposta è agire sull’immigrazione e sulle differenze di reddito che essa porta. Negli ultimi 6/7 anni il flusso verso l’Italia e più in generale verso la parte ricca del mondo è stato molto elevato. La conseguenza è una nuova morfologia della società con una maggiore integrazione ma anche con più disuguaglianza. Gli ultimi dati riferiscono che milioni di persone sono uscite dalla povertà se la misuriamo sulla soglia di un dollaro al giorno, ma questo non ha impedito che sia aumentato il livello di disuguaglianza nel mondo. Oggi infatti la distribuzione del reddito segue da vicino i livelli di inizio secolo quando solo lo 0.14% della popolazione deteneva l’11.4% della ricchezza.
L’assessore alle infrastrutture Raffaele Cattaneo, presente all’incontro in rappresentanza della Regione Lombardia, socio di Globus et Locus, nel suo intervento ha sostenuto come «in questa prima crisi del nuovo millennio si intuiscano i risultati nel medio e nel lungo periodo come la scarsità delle risorse energetiche e l’inflazione per ridurre gli enormi debiti accumulati e ha rimesso in discussione certezze e scenari consolidati». Secondo Cattaneo una delle ricette per uscirne è affrontare la realtà della crisi con una nuova terminologia. Il mondo infatti ha avuto una vera e propria rivoluzione anche nei termini usati: glocale alla fine degli anni ’90 non era certo di uso comune come globalizzazione.
Articolo di Alessandro Marcato, pubblicato il 18 giugno 2009 su Cattolica News:http://www2.unicatt.it/pls/catnews/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=14766
Mediterraneo
Il 20-21 luglio si terrà a Milano il Forum Economico e Finanziario per il Mediterraneo, iniziativa che si inquadra nel contesto istituzionale e politico dell'Unione per il Mediterraneo. Giacomo Corna Pellegrini, noto geografo e intellettuale, riferisce del lavoro intrapreso da Globus et Locus sul tema.
Europa, Asia, Africa: il Mediterraneo divide o unisce questi tre continenti? La storia ha dato risposte molto diverse, nel tempo, ma il problema non cessa di riproporsi. Un nuovo tentativo politico di unire le diverse sponde di questo mare, lo sta realizzando l'Unione per il Mediterraneo.
Globus et Locusè molto attenta a questa problematica e sta avviando un progetto mirato a porre in luce i rapporti esistenti tra la Lombardia (e più in generale l’ Italia del Nord) e le diverse popolazioni che si affacciano sulle sponde di questo mare.
I temi (e i connessi problemi) sono, in proposito, così
numerosi che è quasi impossibile farne un elenco. Di quelli più strettamente economici si occupa da tempo Promos, l'azienda speciale della Camera di Commercio di Milano per le attività internazionali, già promotore fin dal 1999 del Laboratorio Euro-Mediterraneo. Li segue da vicino Globus et Locus, contribuendo alla sinergia e al raccordo con altre iniziative sul tema svolte nell’ Italia settentrionale, in primis quelle promosse dall'Istituto Paralleli di Torino.
Oltre a ciò, con la collaborazione di una équipe di ricercatori del Dipartimento di Geografia e Scienze Umane e dell’Ambiente dell'Università degli Studi di Milano, Globus et Locus sta avviando un primo lavoro sulla collaborazione culturale e le relazioni di cooperazione allo sviluppo esistenti tra l'Italia del nord e i diversi Paesi interessati.
Si è scelta una metodologia di indagine e di espressione geografica in grado di consentire e valorizzare anche una rappresentazione cartografica dei fenomeni, particolarmente efficace nel rendere evidenti ai non specialisti la complessità dei rapporti esistenti tra le diverse parti della grande e complessa area mediterranea.
Naturalmente, oltre ai temi economici e a quelli culturali e umanitari sono rilevanti per l'Unione per il Mediterraneo quelli delle migrazioni, evidenti ormai in tutte le città europee e spesso così drammaticamente attuali nelle acque che dividono l’ Africa dall’ Europa. Proprio su questo fronte, Globus et Locus ha aperto un canale di confronto e collaborazione con l’ISMU, Iniziative e Studi sulla Multietnicità, da anni impegnata su questo delicato fronte di ricerca e di azione.
Ancora una volta Globus et Locus, alla luce del pensiero glocale, si pone nella funzione di catalizzatore e connettore di iniziative di studio su problemi fondanti della nostra società, con lo scopo esplicito di proporre, a partire da ciò, iniziative pratiche e politiche di azione per le rispettive comunità. In questo caso, la speranza e l’augurio è che l’ Unione per il Mediterraneo trovi, da nuove e sempre più chiare conoscenze dei fatti, il coraggio di agire: per favorire la collaborazione tra i diversi popoli e garantire a ognuno legalità e sicurezza, migliorando così il benessere di tutti.
Presupposto a questi risultati non è soltanto il coraggio dei politici e l’intraprendenza degli operatori economici, ma anche la conoscenza reciproca delle diverse civiltà, dei diversi costumi, delle diverse religioni. Soltanto da queste acquisizioni di sapere può venire una reciproca, serena accettazione della diversità, una vera e positiva tolleranza, insomma una convivenza pacifica e fruttuosa: affinché il Mediterraneo non divida i suoi popoli ma li unisca, e della loro varietà faccia una ricchezza per il mondo.
Giacomo Corna Pellegrini
Globus et Locus su America Oggi
Il noto quotidiano statunitense America Oggi ha avviato in queste settimane la rubrica "Globo Italico", a cura di Piero Bassetti e Niccolò d'Aquino,sui temi del glocalismo e dell'italicità.
Gli articoli della rubrica possono essere consultati on line, oltre che sul sito di Oggi7, domenicale di America Oggi www.oggi7.info, anche sul sito di Globus et Locus www.globusetlocus.org. L'ultimo articolo, pubblicato il 12 luglio 2009 è dedicato al G8.
G8 è il passato, Glocal è il futuro
d'A. -Il G8, come sempre, riempie ogni anno le pagine politiche, economiche e dei commenti dei giornali. Ma, ogni volta, non riesce a non dare la sensazione che sia una passerella dei “soliti” potenti. Che i veri problemi siano altri e non vengano affrontati.
B. - «Certo! Perché, essendo un’istituzione, il G8 e gli altri G tendono a esistere e a dare risposte all’interno dei parametri sui quali si sono costituite. Ma trascendono i problemi veri, che toccano la gente: inquinamento, CO2, energia, riscaldamento, migrazioni, comunicazioni, mobilità, lavoro. Queste istituzioni tendono, per modernizzarsi, a inventare un nuovo modo di relazionarsi tra loro: sempre meno sovranità, sempre più accordi. I vari G - quindi non solo il G8 (cioè America e Occidente ) ma anche il G20 (America e paesi avanzati) o il G2 (cioè Usa e Cina), sono l’espressione di questo tentativo. Intendiamoci: questo, in sé, è un fatto positivo. Ma la vera richiesta è il confrontarsi con la gente. E alle nuove integrazioni della globalizzazione gli Stati arrivano in maniera diversa, tendono cioè ad arrivarci per vie diplomatiche, cioè attraverso accordi formali. I popoli, invece, puntano a fare nuove identità: se ne hanno una che li accomuna al di là delle bandiere nazionali, come nel caso della italicità o della italoamericanità, usano questa».
d'A. - Istituzioni sovranazionali, quindi. Già superate o quanto meno in affanno e sempre meno in contatto con le constituencies. Come si salda la frattura?
B. - «Con la glocalizzazione. Che vuol dire: saper vivere la globalizzazione a livello locale. Il che significa: fine dei confini e del loro ruolo, nuovo modo di organizzare i rapporti politici tra istituzioni e individui. Ovvero, nascita di nuove soggettività politiche, nuove polis, nuovi modi per affrontare oggi l’ordine mondiale coi suoi problemi di spazi, ambiente, convivenza, città, mobilità dell’informazione con la nuova dimensione del web. In sostanza, la glocalizzazione non tocca soltanto i rapporti tra gli stati ma direttamente i nuovi popoli: anglossasioni, europei, asiatici eccetera»..
d'A. - Quindi, i popoli - come li chiami - come possono trarre vantaggio dal G8 o dagli altri G e capirne lo svolgimento?
B. - «Innanzitutto capendo che i G sono una modalità per tentare di superare l’impatto della glocalizzazione che sta facendo saltare i confini, creando nuove dimensioni di polis e nuovi modi di affrontare i problemi, superando la vecchia tradizione diplomatica delle relazioni internazionali formalizzate. Ogni G è il tentativo di mettersi a cavallo tra il nazionale e il metanazionale».
d'A. - E per gli italiani, dov’è il vantaggio?
B. - «Il G8 per noi può essere vissuto come occasione per affermare un nostro ruolo. E questo è quello che ci auguriamo sappia fare il nostro governo. Ma anche per saldare l’integrazione dell’Europa e dell’Occidente. E per contribuire alla soluzione dei problemi globali. Per esempio, potremmo vedere se con la Russia, tramite il G8, possiamo prepararci a far fronte comune per rispondere alle “domande” della Cina. Oppure, potremmo decidere di usare questi G come strumento per prepararci all’incontro col potere economico e commerciale crescente di paesi emergenti come India o Brasile. Quello che voglio dire è che dipende da noi: possiamo dare risposte “immediate” o a più lungo respiro».
d'A. - Ma c’è chi dice che questi siano tra gli ultimi G8 a cui parteciperanno Francia e Italia, presto sostituite da Brasile e India. O che, quanto meno, il G8 perderà di importanza rispetto al più ampio G20.
B. - «È giusta la seconda previsione. Il G8 è di fatto già superato. Ma qui c’è la differenza tra il modo di vedere le cose da parte dei media - che puntano a semplicazioni come questa - e il modo con il quale per esempio le vediamo noi, del think tank Globus et Locus. Al centro c’è la grande domanda: siamo di fronte a una crisi nel sistema o a una crisi del sistema (PB vuole siano evidenziati in grassetto solo nel e del). La risposta è che siamo di fronte a una crisi del sistema. Guarda la crisi internazionale: non si può dare tutta la colpa alle sole banche, ai finanzieri senza scrupoli, ai mega-bonus dei manager. La questione è politica, di necessità di nuove regolamentazioni. Il problema non è nel capitalismo ma del capitalismo e del bisogno di un nuovo ordine mondiale. Del resto tutte le cancellerie stanno già lavorando al di fuori dello schema G8. Ma il tutto l’apparato dei G che è in crisi».
d'A. - Ma da cosa verrebbero sostituiti?
B. - «Da un nuovo mix di organizzazioni funzionali e territoriali: da un intreccio cioè di regolamentazioni prodotte da Fondo monetario internazionale, Wto, World Bank, Federal Reserve, Banca centrale europea e banche nazionali, e di regolamentazioni prodotte da istituzioni basate sul territorio: stati, regioni, l’Ue o l’Asean. Alle quali si aggiungeranno le grandi agenzie ad hoc: per l’energia, il CO2 e per le altre tematiche. E, in più, dalle nuove forme di relazioni interstatuali di cui l’Onu è stato, utopicamente, la prima intuizione».
d'A. - Ecco, le Nazioni Unite. Finora, nonostante le sue risoluzione siano per lo più disattese è pur sempre l’assise dove si va a portare le grandi questioni internazionali. Che fine farà l’Onu in questo nuovo ordine?
B. - «Globus et Locus, in una prima fase, è entrata nel meccanismo Onu, con lo Staff College. Ma la mia convizione è che, oggi, l’Onu rimarrà, perché le trasformazioni non si fanno con la cancellazione dell’esistente ma con la creazione del nuovo. Ma servirà però come foro dove affrontare problemi tipo le pandemie o la legge del mare. Sarà, insomma, il luogo dove tutti gli Stati nazionali procederanno secondo il meccanismo di Westfalia (la pace firmata nel 1648 che inaugurò un nuovo ordine internazionale).Un sistema cioè in cui gli Stati si riconoscono tra loro proprio e solo in quanto Stati sovrani. L’Onu sarà la massima espressione di questo tipo di rapporti. Ma ora stanno nascendo tutte le nuove espressioni e esigenze dell’epoca della glocalizzazione. Che nascono dal basso e dovranno trovare risposte anche al di fuori del Palazzo di vetro».
d'A. - Quindi devono adeguarsi sia le istituzioni sia le persone?
B. - «Sì. E per venire agli italiani la questione sarà: dobbiamo diventare europei o dobbiamo diventare italici? Tutti e due. Europei lo stiamo divenendo già. Anche se il passaporto europeo ce lo siamo trovati in tasca. Mentre per esempio gli svizzeri si sono battuti per secoli per avere il loro.
Italici sta a noi saperlo diventare».
Il futuro sarà sempre più "glocal" - pubblicato su Oggi 7/America Oggi il 14 giugno 2009
L'opportunità Ue per gli italici - pubblicato su Oggi 7/America Oggi il 28 giugno 2009
La recensione del mese
"La conversione dello sguardo" di Giovanni Bechelloni, Ipermedium 2009
La percezione del rapporto tra glocalizzazione e comunicazione è un tema complesso e importante. Bechelloni lo affronta nel suo ultimo libro che sottoponiamo alla vostra attenzione.
«Verso "la conversione dello sguardo" allude al fatto che se oggi ci
troviamo in una "terribile e pericolosa confusione" ciò dipende anche dallo sguardo, non solo giornalistico, ma anche politico e "filosofico", in senso lato e cioè cognitivo, con il quale – almeno a partire dal collasso del comunismo sovietico, ma non solo – guardiamo alla nostra attuale complessa contingenza storica, al passaggio d’epoca che stiamo vivendo. Uno sguardo che va reso più adeguato allo scopo di conoscere la realtà in funzione di un’azione capace di ritrovare la strade verso il futuro. Una strada che sembra oggi ignota ai più. E, perciò, da scoprire, da inventare». Scrive così, in uno dei passaggi chiave, il sociologo Giovanni Bechelloni, tra i primi intellettuali italiani ad occuparsi di media e giornalismo.
Il libro è una summa a tutto tondo, chiara e profonda del pensiero di Bechelloni sul tema della comunicazione, a partire dalle sfide che con essa l’essere umano affronta. Si tratta di una raccolta di testi tra introduzioni o post-fazioni a libri o atti di convegni. In particolare, il secondo capitolo "Communication for what? Rischi, malintesi e speranze nella società della comunicazione" è un inedito presentato in occasione di una Lezione inaugurale all’Università di Firenze e costituisce uno dei testi più importanti e strategici per comprendere il pensiero del sociologo. La comunicazione è ivi pensata come problema e risorsa al medesimo tempo. Problema perché è sempre più difficile comunicare con il diverso, lo straniero che è in noi, vicino oppure lontano; risorsa perché nella cosiddetta società dell’informazione e della comunicazione dobbiamo imparare a utilizzare strategicamente la comunicazione per agire nel mondo, per risolvere i conflitti, per condividere, per eliminare la violenza, ecc…
Non è semplice riassumere quelle che sono riflessioni di lungo corso, che partono da lontano e arrivano a confluire in un testo, collage armonico e complesso di questo percorso. A mio avviso, l’autore intende costruire un tragitto sofisticato e profondo, che si struttura in testi nati separatamente ma che insieme danno ancor più senso e linfa ai temi trattati; un lavoro le cui parti sono punti di vista che convergono verso un medesimo obbiettivo e risultato intellettuale. Il libro vuole insegnare soprattutto un metodo, un punto di vista dal quale vedere il mondo, piuttosto che trattare dei contenuti per poi sviscerarli con le più differenti argomentazioni.
I leit motif del libro riguardano la buona e la cattiva comunicazione, i contesti nei quali entrambe si creano e si muovono, il tema dell’identità sia individuale che collettiva, lo stereotipo e il pregiudizio, la missione del sociologo e del suo punto di vista (in particolar modo nelle introduzioni per i libri di Bourdieu), l’identità occidentale, anche e soprattutto il post-nazionale, il cosmopolitismo, la responsabilità comunicativa come responsabilità verso "le cose del mondo". Bechelloni ritiene che la comunicazione sia il modo con cui ci relazioniamo con la realtà, infatti scrive: « Il contributo che noi, come educatori, possiamo e dobbiamo offrire a coloro che vengono a noi è quello di saperli condurre a contatto con la realtà, riuscendo a immetterli nella realtà delle "cose del mondo"».
Il volume presenta una tensione verso una rottura epistemologica (come Bechelloni ha sempre fatto lungo tutta la sua carriera accademica ed intellettuale) necessaria per sapere guardare alla realtà con occhi nuovi. A questa rottura appartiene anche il tema dell’italicità, ripreso in alcuni punti del testo ma già affrontato ne “Il silenzio e il rumore. Destino e fortuna degli italici nel mondo” (ed. Mediascape) e nel precedente “Diventare italiani. Coltivare e comunicare la memoria collettiva” (ed. Ipermedium libri). A tale rottura si può ricondurre anche il tema della pluriappartenenza, della constatazione che il mondo è ormai nel post-wesfalia e tende alla glocalizzazione, come descritto nel precedente “Diventare cittadini del mondo” (ed. Mediascape).
Attraverso questo testo, Bechelloni vuole renderci consapevoli che per comprendere meglio i fatti, gli eventi, le mutazioni, gli essere umani, è necessaria una "conversione": far convergere olisticamente orizzonti, discipline, esperienze, saperi, “allo scopo di rendere lo sguardo del ricercatore più illuminante”.
A cura di Riccardo Giumelli
Libri in vacanza
Consigli di lettura per l'estate
"Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo techno-nichilista", Mauro Magatti, Feltrinelli, Milano 2009

"Le idee con le ali. La globalizzazione è un destino", Paolo Janni, Guida Editore, Napoli 2009
"Una e molteplice. Ripensare l'Europa", Gianluca Bocchi, Mauro Ceruti, Tropea, Milano 2009