Globus et Locus newsletter n.8 2008

Italici!

Alcuni mesi fa i giornalisti Paolino Accolla e Niccolò d'Aquinohanno ricavato da una lunga intervista con Piero Bassetti, presidente di Globus et Locus, un agile libretto dal titolo "Italici. Il possibile futuro di una community globale" pubblicato in italiano dall’editore svizzero Giampiero Casagrande.

In questi giorni esceper la casa editrice americana Bordighera Press la traduzione in inglese"Italici. An Encounter with Piero Bassetti". L’edizione americana del libro è frutto di un felice incontro tra i-Italy (The Italian/American Digital Project) e Globus et Locuse verrà presentata il 12 novembre 2008 a New York, presso la Casa Italiana Zerilli-Marimò.

L’iniziativa di New York vede coinvolti diversi soggetti impegnati nella promozione dell’italicità negli Usa: la Casa Italiana Zerilli-Marimò (New York University), il J.D. Calandra Italian American Institute (City University of New York), il Consolato Generale d’Italia a New York, i-Italy e Bordighera Press. L’evento ha suscitato anche l’interesse della comunità italica-ticinese di New York.

Il dibattito attorno alle "italiche cose" è ormai maturo e degno di attenzione. Infatti, gli italici e l’italicità sono ormai visti, vissuti e, cosa da non sottovalutare, anche "agiti" nel mondo: le reti, i contatti italici e fra gli italici si organizzano, acquistano spessore e consapevolezza e l’italicità comincia a essere percepita come il destino futuro di una community globale importante e riconosciuta.
Finora questa comunità sparsa ai quattro angoli del mondo non è stata "incontrata" adeguatamente dai media. Parecchi sono ancora coloro, infatti, che ragionano nei termini e con i limiti nazionali e nazionalistici che non privilegiano l’apertura mentale e la percezione di nuovi fenomeni di aggregazione e comunanza. Nuovi fenomeni che, tuttavia, hanno radici profonde: gli usi, i costumi e i valori condivisi dagli italici.

Nell’intento di colmare questa lacuna più che altro mediatica su una comunità estesa e diffusa in tutto il mondo, è nato il libro intervista "Italici".

Programma - Tavola Rotonda di presentazione del libro "Italici. An Encounter with Piero Bassetti" - New York, 12 novembre 2008
 

Italy-city. A g-local community

Una quindicina di anni fa ho coniato la parola “italicità” (italy-city), basandomi sull’idea di proporre un “luogo” virtuale, una piazza, un agorà immaginario in cui riunire un popolo di 200-250 milioni di italici (italiani, ticinesi, dalmati, rispettivi oriundi, italofili…) sparsi nel mondo superando le frontiere formali e le barriere giuridiche degli stati in cui gli italici risiedono.

L’italicità può essere paragonata a un Commonwealth di culture, di esperienze, di ideali, una ricerca di comunanza con tutte le genti che abbiano una radice italica. La comunità italica ha dalla sua parecchi atouts: una cultura millenaria, un modo di vita improntato alla qualità, un gusto per il bello unico. Ma gli italici a questi atoutsne aggiungono altri che qualche volta possono persino sembrare speculari a omologhi difetti italiani. Per esempio: un cosmopolitismo acquisito lontano dal provincialismo italiano; una minor faziosità imparata da popoli meno faziosi di noi; una familiarità con società e istituzioni di più antico e penetrante costume liberal e democratico come quelle degli USA, del Canada, della Svizzera, della Gran Bretagna o della Francia.

Di italici ce ne sono sempre stati. È lecito affermare che il primo italico è stato addirittura Marco Polo, un viaggiatore che è riuscito a far incontrare due civiltà lontane e distinte. Nei secoli passati, molti altri “proto italici” hanno lasciato la madrepatria e si sono stabiliti in varie parti del mondo. Altrettanti fra coloro che venivano in Italia o nella Svizzera italiana attratti dall’arte e della cultura, sono da considerarsi dei predecessori degli italici attuali. Goethe, scrivendo il celebre “Viaggio in Italia”, è stato certamente uno di essi. Oggi l’italicità si compone di una vasta rete di nodi grandi e piccoli, sparsi in tutto il mondo. Il senso e lo scopo di questa rete non è quello di far perno sull’Italia, ma di interagire liberamente nel modo migliore e più diretto possibile. Gli italici di Buenos Aires possono comunicare, esprimere opinioni e commerciare con gli italici di New York che, a loro volta, possono fare altrettanto con gli italici di Sydney. Come tutte le appartenenze libere e aperte, l’italicità offre molte opportunità di contatto al suo interno e, cosa inestimabile al tempo della globalizzazione, in cui vengono messi in dubbio e svuotati molti dei valori tradizionali, offre un’identità condivisa.

È necessario sottolineare come l’identità italica non sia un atto sleale nei confronti dei paesi in cui si risiede, ma postuli invece l’adesione a un complesso e ricchissimo sistema di valori. La “piazza” italica non è un luogo di rivendicazioni nazionalistiche, trattandosi invece di un modernissimo insieme di vissuti (che afferiscono anche alla ricchezza delle comunità regionali e alla vitalità dei dialetti) assimilabili a un’unica matrice comune.

Prendere in considerazione un’appartenenza aggiuntiva, quella italica appunto, che non sia esclusiva e tanto meno escludente, appartiene alla logica delle conversioni più che a quella delle secessioni. In questo senso gli italici sono favoriti dalla loro numerosa diaspora, presente in ogni angolo del globo. Una diaspora che ha saputo conquistarsi il rispetto e negli ultimi tempi non di rado l’ammirazione nei paesi che la ospitano. È lontano il tempo in cui l’emigrazione italiana era un’emigrazione umile, in cerca di pane. Oggi la businesse la cultural communityitalica sono ovunque riconosciute e affermate e il web appare lo strumento ideale per interconnetterle con successo. In un mondo come quello post-moderno, dove la tecnologia ha di fatto irreversibilmente azzerato le dimensioni del tempo e dello spazio, la piazza italica non può non coincidere con quella reticolare, globale e insieme locale del web. Vi è la consapevolezza che attraverso il web si può meglio raggiungere gli attori. Infatti, il web può sia “parlare a” sia “dare voce a” un uditorio diversificato per ubicazione geografica, nazionalità, lingua e professione.

Tuttavia, è di primaria importanza tenere a mente la linea lungo la quale l’aggregazione italica è attuabile, una linea che non ha nulla a che vedere con un’adesione plebiscitaria ed esclusiva, ma che dovrà sviluppare una graduale presa di coscienza di un’appartenenza ulteriore che non è in contrasto né si pone in alternativa con i diritti e i doveri dei cittadini nati e cresciuti sul suolo statunitense, argentino o australiano. Sentirsi italici non è in conflitto col sentirsi italiani, svizzeroitaliani, italoamericani eccetera. Tutt’altro. Infatti, uno dei primi risultati del nuovo ambito glo-cale (appartenente a una comune e condivisa dimensione globale ma pur sempre declinato nelle sue componenti locali) sono le pluriappartenenze.

Non mi sembra azzardato dire che vi è una “piazza” italica ogni volta e laddove un italico entra in relazione e riconosce un altro italico.Se è vero che la piazza italica non coincide né con quella de La Città Ideale rinascimentale né con quella metafisica di De Chirico, è pure vero che riconosce in entrambe le proprie ascendenze culturali.

Gli italici vivono valori distillati e consolidati in secoli di civitas italica. Non sono soltanto valori condivisi (e condivisibili). Sono anche i motori di nuove appartenenze, di ulteriori convivenze, al momento non tutte immaginabili. La piazza italica sarà lo strumento di precipitazione di alchimie politiche per i decenni futuri.

Piero Bassetti(traduzione in italiano dell'articolo pubblicato sullo speciale "It takes a piazza" di i-Italy)

L'articolo in inglese sul sito di i-Italy: http://www.i-italy.org/4702/italy-city-g-local-community
 

It Takes a "Piazza"

L'italiano in piazza” è il tema scelto per la VIII Settimana della lingua italiana nel mondo che si è svolta dal 20 al 26 ottobre 2008. E proprio al tema della piazza, i-Italy (www.i-italy.org) ha dedicato un numero speciale ricco di spunti e contributi di grande interesse, a partire dal quale Riccardo Giumelli ha tratto le riflessioni che vi proponiamo.

Per nessun altro paese si può affermare, come per l’Italia, che gran parte della sua identità si sia formata tra la cucina e la sedia messa davanti alla porta di casa per osservare chi passava, chi andava in piazza: per raggiungere la chiesa, fare affari (comprare e vendere merci) o più semplicemente per incontrare gente. Oppure si rimaneva seduti per guardare chi si muoveva in direzione opposta, raggiungendo la propria casa, il focolare, la propria famiglia. Un’ identità che nel corso del tempo si è costruita tra le mura di casa, ed in particolar modo la cucina, e la piazza del paese. Tanto che, non a caso, tra piazza e pizza, in fondo la differenza sta solo in una adi troppo. Anche se l’etimologia della parola pizza va ricercata, malgrado esistano differenti interpretazioni, nel sostantivo pinsereche significa schiacciare, macinare; quindi da pinsa, che altro non era che la pasta molliccia che veniva lavorata per fare il pane o la schiacciata. Un’idea, questa della cucina e della piazza, che si è diffusa ed è stata riconosciuta a livello globale, oltre ai consueti riferimenti all’arte, alla cultura e al turismo.

It Takes a Piazza” è il titolo del numero speciale di ottobre di i-Italy, che raccoglie contributi di spessore, tra gli altri, di Anthony Tamburri, Francesco Maria Talò, Renato Miracco, Piero Bassetti, Stefano Benni, ecc.

La piazza è affiancata da sempre da un significato di incontro, di convivialità, di discussione ed anche di scambio di merci. Infatti i termini piazzare e piazzista vengono utilizzati per indicare situazioni che prevedono affari commerciali, vendite e acquisti. Mi chiedo tuttavia se oggi il significato di piazza in Italia sia sempre lo stesso che le è stato storicamente attribuito. Sono oggi le piazze centri di aggregazione? Ci si trova ancora in questi spazi aperti per incontrarsi? Non sono del tutto convinto che le piazze attuali assumano le caratteristiche d’un tempo, nel caso sono luoghi da visitare per turisti o comunque importanti punti di osservazione per conoscere meglio la città e le sue dinamiche. Oggi mi pare che il concetto di andare in piazza, o scendere in piazza sia piuttosto associato ad un idea in qualche modo “negativa”: per protestare, per dissentire, per contrastare che può sfociare in manifestazioni violente.

Allora che cos’è la piazza oggi? Innanzitutto questa piazza, che definirei post-moderna, non può non guardare alle sue radici italiche che ne hanno fatto un concetto universale e diffuso in tutto il mondo.Tuttavia oggi essa sta divenendo sempre più glocale, si stacca mano a mano dallo spazio fisico per posizionarsi in quello virtuale. Le nuove piazze sono allora, come viene scritto diffusamente, quelle on-line. La società aperta sta modificando i confini, le dimensioni di spazio e tempo, che si ampliano. Pertanto nell’ agorà, nel forum, nella piazza di numerosi siti internet si torna un po’ a discutere e dibattere come si faceva qualche secolo fa. Tuttavia oggi si può decidere quale piazza utilizzare, magari quella degli italiani all’estero del luogo nel quale si è emigrati o si sta risiedendo, oppure entrare in contatto con altre piazze italiche, di altri luoghi nei quali altri italiani sparsi nel mondo vivono. Insomma tante piazze aperte a tutti, che rappresentano localmente gli italiani del luogo ma che sono accessibili globalmente.

Rimango spesso colpito quando, cercando tra le tante pagine dei tanti interventi, leggo frasi come queste:

“Non si sa mai dove si possono trovare gli italiani con sicurezza. Dipende da chi li cerca, quando e perché: io devo ammettere che li trovo sempre altrove. Forse si ha la necessità di un altrove per diventare italiani".

Insomma a chi si occupa di ri-creare queste piazze, si pone anche un problema sull’identità. Quali consapevolezze sull’identità italiana si stanno creando on-line? Quali valori vengono affermati o discussi? Quale sentimento di appartenenza emerge? E verso che cosa?

Tutto questo ci fa muovere da un’idea di una costruzione identitaria, che non può più essere legata a uno spazio territoriale definito da una carta burocratica d’identità, a un’altra più ampia intessuta di nuovi valori simbolici che nascono anche dall’uso delle nuove tecnologie e che quindi non sbaglieremo a definire, come da tempo facciamo in queste pagine, italica.  

Per leggere lo speciale di i-Italy "It Takes a Piazza"sul web: http://www.i-italy.org/sections/specials/society/it-takes-piazza
 

Incontro con Saskia Sassen

Riflessioni glocal su “Territorio, autorità, diritti”

Milano, 11 novembre 2008

In occasione della prossima pubblicazione dell’edizione italiana di Territory, authority, rights. From medieval to globlal Assemblages(Princeton University Press 2006 /Bruno Mondadori Editore), il Laboratorio RISC ha invitato Saskia Sassena tenere una relazione sulle principali teorie che caratterizzano il suo lavoro scientifico. Partendo dalle tesi sviluppate sui temi della denazionalizzazione degli assetti statuali e del superamento dei confini, verrà rivolta una particolare attenzione alle “politiche dei luoghi” con specifico riferimento alle città globali.

Docente di Sociologia presso la Columbia University e la London School of Economics, Saskia Sassen è uno dei massimi studiosi di globalizzazione e di processi transnazionali. Tra i suoi libri, ampiamente diffusi a livello internazionale, Una sociologia della globalizzazione (Einaudi 2008), La città nell’economia globale (Il Mulino 2003), Globalizzati e scontenti (Il Saggiatore 2002), Città Globali (Utet 1997).

Programma - seminario Sassen

Laboratorio RISC
 

Italicità: un ponte verso l’Europa Sud Orientale

Dal 16 al 18 ottobre ha avuto luogo a Tiranail convegno di studi su “Italicità e media nei Paesi dell’Europa Sud Orientale.

Il convegno è stato organizzato dalla Comunità  Radiotelevisiva Italofona, con cui Globus et Locus collabora da tempo, e dalla Radiotelevisione albanese. Numerosi e di grande qualità gli interventi dei discussant nell’arco delle due giornate di lavori, come pure importante la presenza politico-istituzionale albanese, che ha visto intervenire il ministro degli Esteri Lulzim Basha e la presidente del Parlamento Jozefina Topalli.

Se l’influsso dello spazio linguistico italiano sull’area balcanica è stato sottolineato e dimostrato dal linguista milanese Emanuele Banfi, la valenza letteraria della cultura italiana in Albania ha avuto il suo esempio vivente in Elvira Dones, scrittrice albanese di fama mondiale, che ha fatto dell’italiano la sua lingua d’espressione. Edlira Roqi ha tracciato una breve storia dei rapporti fra la radiotelevisione albanese e la lingua italiana, mentre Luisa Chiodi ha dato conto della riuscita esperienza dell’Osservatorio sui Balcani, ente italiano di analisi e relazioni particolarmente attivo. Augusto Milana, di Rai International, e Marco Guglielmi di SAT2000 hanno sottolineato quanto sia importante l’operatività concreta dei media italofoni per quest’area. In più, rappresentanti sloveni, croati e montenegrini hanno illustrato le loro esperienze di "operatori della lingua italiana" in un ambito, quello della prossimità adriatica, che privilegia l’apporto dell’italicità alle culture della costa orientale.

Di particolare importanza sono stati gli interventi "programmatici" di Remigio Ratti, presidente della Comunità Radiotelevisiva Italofona, di Petrit Beci, direttore generale della Radiotv albanese, e di Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede. La vicinanza e la vera e propria comunanza creata dai media italofoni con l’Albania ha permesso, infatti, di gettare un ponte culturale-valoriale fra le due sponde dell’Adriatico.
Infine, durante il panel di confronto sulle prospettive della lingua e della cultura italiana nei Paesi dell’Europa Sud Orientale, l’intervento di Globus et Locus ha sottolineato il valore strategico dell’italicità per i Paesi del Sud Est europeo: affacciarsi al mondo globale per mezzo di una lingua e di una cultura dalla ricca tradizione e dal grande potenziale permetterà all’area di fare un salto di qualità decisivo verso un ambito globale caratterizzato dagli incontri diretti fra i nodi delle reti che sono in grado di creare identità e significato.
In definitiva, l’italicità  vissuta come una "seconda appartenenza" si respira già oggi sulle strade di Tirana. L’esperienza personale lo conferma: gli albanesi di Tirana sono in maggioranza italofoni, mentre la cultura italica ha di fatto già incontrato le genti di Slovenia, Croazia e Montenegro. I media italofoni, potenti antenne di diffusione dell’italicità, hanno contribuito non poco a che ciò si verificasse.

Sergio Roic

Per approfondimenti: www.comunitaitalofona.org

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