Per una governance della città diffusa
Nell’ambito del percorso di approfondimento sui temi della mobilità, della città e delle sfide poste dalla glocalizzazione alla governance urbana, il Laboratorio Risc– iniziativa nata dalla collaborazione tra la Camera di Commercio di Milano, la Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica e Globus et Locus - ha tenuto il 5 giugno un incontro di lavoro dal titolo “Flussi, reti, funzioni. Per una governance della città diffusa”. A discutere di questi temi è stato chiamato il prof. Richard Ingersoll, architetto e urbanista, autore del libro “Sprawltown”.
Il Prof. Ingersoll ha discusso con i presenti dell’influenza dei flussi globali nei processi di ristrutturazione e di condizionamento della struttura delle città e delle politiche urbane. All'incontro hanno partecipato i professori Stefano Boerie Costanzo Ranciin qualità di discussant e, in rappresentanza delle istituzioni animatrici del RISC, Antonio Pastore, Piero Bassetti e Mauro Magatti.

Alla luce delle sfide recentemente poste alla città di Milano a seguito dell’assegnazione dell’Expo 2015, che interrogano le istituzioni sul loro ruolo di governo delle trasformazioni della dimensione urbana, il focus dell’incontro è stato rivolto a Milano nella sua accezione di sprawltownovvero di città globale, diffusa e continua.
Le declinazioni possibili di tali questioni, sono diverse: quali sono e come si implementano le nuove politiche pubbliche nel mutato contesto contemporaneo delle città globali europee come Milano? Quali sono i tratti di questo nuovo contesto in cui le istituzioni presentano una sempre minore capacità simbolica e narrativa essenziale alla creazione del consenso?
A questi interrogativi ha cercato di dare delle risposte il prof. Ingersoll, partendo dalle sua teoria sulla sprawltown, neologismo con cui egli intende una crescita urbana senza regole e senza forma, ma anche quella "nebulosa urbana" che gravita attorno alle città.
Programma del seminario con Ingersoll
Intervista a Richard Ingersoll
Nel suo ultimo saggio intitolato proprio "Sprawltown. Cercando la città in periferia" analizza le dinamiche delle nuove città-diffuse. Milano è già da tempo una glocal city e l'arrivo di Expo 2015 accelererà i processi che la caratterizzano: quali sono, secondo la sua teoria, gli aspetti che la definiscono?
Innanzitutto, bisogna dire che la "città" non esiste più da cinquant'anni perché è scomparsa la differenza tra contado e centro. Siamo noi a cambiare il tempo e il tempo cambia: è una provocazione per dire che abbiamo bisogno di un nuovo linguaggio. Prima la metafora era semplice: la città era un corpo, ma con lo sprawlil corpo è stato smembrato: si è passati dalla città difesa alla città diffusa. Se si guarda oggi la pianta di Milano, per esempio sorvolandola di notte con un aereo, ci si accorge subito di come Milano sia molto simile al disegno di un hardware, o più semplicemente di un aeroporto. Ci si accorge di quanti flussi e nodi la attraversano: sono dinamiche apparse molto velocemente e stanno diventando dominanti in tutte le società, anche nel terzo mondo. Sprawlnon è una forma, per quanto possa avere conseguenze formali, ma è un modo di vivere: tecniche di comunicazione che usiamo ogni giorno rendono tutto più virtuale e meno radicato nello spazio; attraverso le tecniche di "teletopia", come le chiama Paul Virilio, il mondo è stato de-spazializzato anche se non completamente. Il tutto si racchiude nell’immagine che ho descritto prima, anche se per me lo sprawl non è solo un fatto fisico ma anche sociale. To sprawlè un verbo – sdraiarsi - e townun sostantivo che significa centro urbano, densità: io voglio mantenere insieme questi due concetti, non voglio cedere al rischio della perdita d’identità, o del nomadismo, o della perdita dei valori civici.
In che modo Milano ha vissuto questo processo?
Guardare la pianta di Milano è sconcertante perché non si capisce più dove è il centro, tutto è sparpagliato. Il processo è partito con diffusion– per cui la città ha cominciato a diffondersi lungo le direttive e a espandersi oltre il centro –, per poi passare a fusion – in cui il territorio comincia a fondersi come è accaduto per le circa 60 municipalità intorno a Milano –, il cui risultato è confusion: si arriva alla confusione perché alcuni fatti importanti della città, prima concentrati nel centro, ora sono sparsi per il territorio. Anche se non è detto che la confusione sia brutta, anzi, porta la bellezza della complessità. Milano non ha la bellezza classica di una pianta normale, ma a ben guardare assomiglia molto a un quadro di Pollock. Oggi Milano potrebbe essere un modello di città "sprawlata" perché ha tanti elementi di centralità che producono una cultura civica interessante.
Come vincere le sfide che l'Expo pone a questo territorio diffuso, che vive oltre i confini del Comune, e anche oltre quelli della Regione Lombardia, fino a coinvolgere tutto il Nord?
Esiste un fattore fondamentale: le infrastrutture. Milano è una città dalle grandi infrastrutture e con l’Expo dovrà costruirne altre: è necessaria una profonda riflessione su come progettarle. Io credo alle infrastrutture come arte. Per Milano questa sarebbe la strada giusta: dovrà trattare le infrastrutture come arte di vivere e arte visuale. Ogni nuova estensione di autostrada potrà diventare un pretesto per un parco oltre che essere portatrice di bellezza di per sé. Pensiamo al Ponte di Scozia progettato da Benjamin Baker nel 1873 come opera bella in sé, anche se poi fu duramente criticata da Morris. Col passare del tempo cambia il nostro modo di vedere e un’autostrada può essere bella come un’opera d’arte, come una cattedrale del nostro valore principale, la velocità.
Oltre ai flussi migratori, Milano con l'Expo attirerà altri flussi, quelli turistici: come impatteranno sulla città?
Questo è un fattore importante ma anche un rischio. Tutte le città belle del mondo come Roma, Firenze e Venezia stanno diventando delle semplici cartoline perché sono città da consumare. Ci sono 2 miliardi di turisti nel mondo - una persona su quattro – che producono un grande inquinamento antropologico. L'Expo entra in questa dinamica, ma Milano ha un fattore che può salvarla: la produzione. Se vogliamo un turismo che non distrugga la città è necessario che la produzione sia sempre presente. Bisogna deconcentrare lo sguardo, come ha fatto Parigi, portare molti elementi fuori dal centro. L' Expo è un'occasione per creare attrazioni democratiche e incentivare la produzione.
Intervista a cura di Stefania Battistini
Immigrazione e UE. Il progetto PR.IM.I.
Siamo attraversati da flussi globali, occorre attrezzarsi a governarli. Le difficoltà del Vecchio Continente nell’affrontare il problema della mobilità e dei flussi migratori appaiono oggi più evidenti che mai.
I recenti episodi di intolleranza registrati in diversi Paesi membri, tra cui l’Italia, e la conseguente proposta di soluzioni parziali e unilaterali da parte di singoli governi, sottolineano l’esigenza per l’UE di dotarsi di strumenti di governance del fenomeno migratorio più efficaci.
La libera circolazione delle persone (insieme a merci, capitali e servizi)
è stato uno dei principi fondanti dell’Unione europea e uno dei suoi punti di forza. Negli ultimi tempi però, esso viene messo sempre più in discussione, a causa della scarsa capacità dei singoli stati membri di far fronte ai problemi di sicurezza interna e di gestire efficacemente le problematiche derivanti dai massicci flussi migratori, provenienti sia dai Paesi recentemente entrati a far parte dell’UE, sia da Paesi terzi.
Gran parte dell’opinione pubblica tende oggi a discutere di immigrazione, così come di globalizzazione, come se ci fosse la possibilità di ridurne il grado o l’impatto sulle società. Tuttavia, che piaccia o meno, la globalizzazione e i flussi migratori a essa connessi, non sono una scelta, ma un fatto ineluttabile e il ricorso a soluzioni semplicistiche come la chiusura delle frontiere non è concepibile. Bisogna però ammettere che trovare risposte a questa sfida non è affatto semplice.
Da tempo, la problematica della gestione dei flussi migratori non è più materia esclusiva di politica interna degli Stati, ma le politiche migratorie vengono concordate a livello di Unione europea e inserite nel più ampio ambito della coesione sociale europea. La ricerca di misure efficaci per far fronte al problema spazia allora dall’armonizzazione delle regole relative alla sicurezza e alle frontiere, alle politiche sociali e culturali per l’integrazione dei migranti. La capacità di accoglienza dei flussi di migranti in arrivo implica infatti un atteggiamento di interesse alla diversità culturale. In una società della conoscenza, come viene definita quella attuale, non si può pensare di affrontare il tema delle migrazioni su basi di ignoranza e pregiudizio, ma bisogna sviluppare una cultura glocal delle diaspore, a partire dall’esperienza quotidiana di incontro con l’altro da sé.
Parafrasando quanto affermato nel Manifesto dei glocalisti, per affrontare questa sfida bisogna essere disposti a “mettere in gioco il nostro tradizionale rapporto col territorio per prepararci all’avvento dei migranti che la mobilità di massa ci fa già incontrare”.
L'esperienza del Fondo PR.IM.I.
Un esempio positivo di proposta glocal “dal basso” che guardi all’immigrazione come agente di sviluppoè “PR.IM.I. - Progetto Imprenditori Immigrati”, nato dalla collaborazione tra Intesa Sanpaolo, Provincia di Milano, Fondazione Ethnoland e Fondazione Lombarda Antiusura.
Il progetto si propone di aprire l’accesso al credito agli imprenditori immigrati,
tradizionalmente penalizzati dai grandi sistemi bancari e dalle rigide condizioni di mercato. Grazie alla costituzione di un fondo di garanzia solidale, inizialmente costituito dai soggetti promotori e alimentato dagli stessi interessi via via ripagati, quest’alleanza permetterà agli oltre 200.000 imprenditori immigrati di ottenere credito per sostenere la propria attività.
Nella conferenza di presentazione dell’iniziativa, Otto Bitjoka, Presidente della Fondazione Ethnoland, ha sottolineato come sia ormai arrivato il momento di considerare il cittadino glocale una nuova categoria sulla quale fare conto e su cui investire. Gli imprenditori di origine straniera rappresentano senz’altro una componente rilevante e florida di tale categoria, in quanto espressione di pluriappartenze, portatori di esperienze di mobilità vissuta, combinazione di spirito imprenditoriale moderno e tradizioni diorigine. Sono veri cittadini glocali che, sviluppando la propria sensibilità, anche grazie al vissuto personale, nel cogliere le nicchie libere del mercato locale e occuparle, hanno saputo inserirsi a pieno titolo, in modo spesso creativo ed efficace, nell’economia e nella realtà italiana. Allo stesso tempo, restano fortemente connessi con i propri territori di provenienza, come testimoniato dagli ingenti flussi di rimesse, dal mantenimento della propria lingua e dalla tendenza ad aggregarsi in comunità etniche.
Il Progetto PR.IM.I. si rivolge a questinuovi cittadini del mondo glocal, consapevole che anche per le istituzioni e gli interessi economici milanesi, la sfida oggi è lavorare sulle nuove frontiere della societàe, in questo caso, guardare all’imprenditore migrante come agente di sviluppo dell’intera comunità che lo accoglie, riconoscendone, come auspica il Presidente della Provincia di Milano Penati, "il ruolo sociale sul territorio" e favorendone, nei fatti, una vera integrazione.
Per maggiori informazioni: www.fondoprimi.eu
Network Nuova Alpe Adria
Si è svolta il 13 maggio a Pola, in Croazia, la IIIa Conferenzadei presidenti del network camerale transnazionale Nuova Alpe Adria, promossa dalla Camera di Commercio di Trieste,con il coinvolgimento degli enti camerali di Austria, Croazia, Slovenia e Italia.
Nato nel gennaio 2007, il network camerale della Nuova Alpe Adria ha messo in rete realtà imprenditoriali di 4 Paesiche si sono riunite a Pola assieme ad una sessantina di imprese impegnate in incontri d’affari organizzatidall’Azienda Speciale Aries della Camera di Commercio di Trieste.
La messa in rete delle imprese, la sburocratizzazione, la presentazione di un progetto comune a valere sui programmi di cooperazione Transnazionale Sud Est Europa: sono questi i temi discussi dai presidenti camerali. “E’ questa la strada – ha sottolineato Andrea Mondello, Presidente dell’Unioncamere italiana, presente all’iniziativa – che consente alle piccole imprese italiane di internazionalizzarsi attraverso una rete transnazionale che consenta loro di affacciarsi al mercato globale. Senza questo supporto da parte degli Enti camerali non ci sarebbe un futuro di crescita per realtà che da sole non riuscirebbero a competere sul mercato internazionale”.
Oltre alla messa in rete, il sostegno alle imprese si muove anche sul piano del supporto finanziario transnazionale. Antonio Paoletti, presidente dell’Ente camerale di Trieste, promotore del network, ha evidenziato come “ci si stia muovendo assieme agli istituti bancari e finanziari verso la creazione di consorzi di garanzia fidi sovranazionali, capaci di seguire e sostenere le piccole imprese che avviano accordi economici e commerciali con colleghi che fanno parte dei 4 Paesi che fanno riferimento alle Camere di Commercio della Nuova Alpe Adria.
Il network transnazionale camerale Nuova Alpe Adria rappresenta un ottimo esempio di aggregazione funzionaleall’interno di un'Europa in cerca di strumenti di governance mutlilivello e a geometria variabile.
La recensione del mese
"Italia senza nazione? Geopolitica di una identità difficile”, Manlio Graziano, Donzelli, 2007
Quando mi sono imbattuto in questo libro alcune idee mi sono apparse subito chiare, anche già dal titolo. Ho accostato immediatamente questo testo a uno di Aldo Schiavone "Italiani senza Italia", letto qualche tempo fa. Una riflessione quest’ultima sull’incapacità ma anche sull’impossibilità storica dell’Italia di farsi nazione, uno Stato moderno come altri nello stesso periodo hanno fatto. Ciò che è mancata non è tanto un’identità italiana ma piuttosto un’identità dell’Italia, intesa come capacità di creare un solido e chiaro interesse nazionale.
Da tempo provo a riflettere su cosa significhi essere italiano, in particolare oggi in tempi di "passaggi" d’epoca. Tuttavia le risposte appaiono difficili, complesse, opache nel loro presentarsi. Il libro di Graziano è certamente un aiuto, chiaro, sostanzioso, denso di informazioni e significati che vanno molto aldilà della retorica pregiudizievole e stereotipata, nel bene e nel male, che spesso si attribuisce ai fatti italiani. E’ un libro storico e sociologico allo stesso tempo, e questo è un grande merito. In effetti il testo coniuga con grande intelligenza e spessore interpretativo i fatti storici che hanno caratterizzato l’Italia "moderna", l’Italia fattasi nazione, quindi dal Risorgimento fino ai fatti più recenti dei giorni immediatamente precedenti alla pubblicazione del libro (2007), con l’idea costante e sempre chiaramente tra le righe dell’identità italiana. Un’identità che vuole essere indagata, purificata da tutte le inutili e chiassose voci del "politicamente corretto", del superficiale senso comune, cercando di coglierne le continuità storiche e le prospettive che si potranno aprire in tempi di europeizzazione e globalizzazione. Quella italiana, è necessario ribadirlo, è un’identità locale che tuttavia si è sempre pensata globale, universale, agendo contemporaneamente nel micro e nel macro delle sfere di azione umanae che quindi oggi possiamo definire glocale.
Tuttavia, ritengo che l’interesse sia suscitato dal fatto che il libro è stato pubblicato in una prima edizione in francese, con l’intento di, come scrive Graziano, "introdurre il pubblico transalpino ai misteri della nostra vita politica", costruendo "una sorta di viaggio attraverso le contraddizioni e le specificità del Bel paese".
E’ quindi un viaggio, un percorso alla scoperta e riscoperta di un’identità difficile, dove cadere nella banalizzazione può essere facile. L'autore apre molte finestre, che d'altra parte non potevano essere ignorate, ma che chiude con grande efficacia e sapienza. Le informazioni, anche ampiamente dettagliate, concorrono a costruire un quadro più ampio dove alcuni temi emergono con forza: il persistente trasformismo diffuso nella classe dirigente, incapace da sempre di costruire una dialettica politica con le "masse", la frammentazione ideologica e sociale trasversale a tutti i ceti ma soprattutto la presenza costante, influente e a volte "ingombrante" della Chiesa Cattolica. Su questo, giustamente, l’autore si sofferma con preziosa attenzione, non nascondendo, come tante volte aveva fatto Giuseppe Prezzolini, la relazione tra identità cattolica ed italiana - già precedentemente affrontata nel testo "Identité italienne et identità catholique. L’Italie laboratoire del l’Eglise"(L’Harmattan, 2007).
Testi come questo e molti altri che sono pubblicati o stanno per esserlo, ci fanno capire come sia urgente e necessaria una riflessione più accurata sui fatti "italiani", che in questi tempi di mutamento sarebbe riduttivo definire sotto la lente di uno sguardo "nazionale". Le lenti dovranno essere diverse, varie, capaci di suggerire nuove consapevolezze a uno sguardo che dovrà farsi necessariamente "cosmopolita", "glocale", "aperto"; ed attraverso il quale i fatti non saranno "italiani", bensì – come si definiscono chiaramente su questo sito - orgogliosamente "Italici".
Riccardo Giumelli