Dossier Kosovo: Calzini e Matvejevic'
Globus et Locus, attenta ai mutamenti che la glocalizzazione propone non solo in termini di fatti storici ma anche di categorie di pensiero, intende offrire un punto di vista glocal che evidenzi le connessioni tra fatti ed esigenze dei nuovi modi di pensare. Gli argomenti di questo numero della newsletter ci sembrano in linea con questo intento. Molti hanno commentato l’indipendenza del Kosovo, ma non c’è dubbio che la scelta di molti stati nazionali di riconoscerne l’autonomia segna una svolta fondamentale rispetto all’approccio tradizionale di Westfalia, per il quale il problema dei confini interni a uno stato riconosciuto era un tabù per qualunque altro stato. Allo stesso modo, la ripresa dell’articolo di Beckrappresenta un contributo di pensiero che, non a caso, individua nell’Europa una realtà istituzionale che non riesce più ad appartenere alla vecchia categoria del sistema internazionale ma si pone o deve porsi, sia pure problematicamente, il tema delle categorie glocali, analogamente alle regioni, come evidenziato nelle ultime due segnalazioni.
Sulla recente crisi del Kosovo abbiamo chiesto un approfondimento a Paolo Calzini, docente di Studi Europei alla Johns Hopkins University e al noto scrittore Predrag Matvejevic'.
L’indipendenza del Kosovo: conquiste, dilemmi e prospettive
La dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, sostenuta da una massiccia adesione popolare, trova secondo i suoi promotori piena giustificazione nell’affermazione del principio di autodeterminazione. Un passo significativo è stato dunque compiuto; esso sottolinea l’importanza assunta da questo principio una volta superati i condizionamenti imposti dalla guerra fredda all’espressione di rivendicazioni nazionali e sub nazionali. Il passaggio dalle affermazioni sul piano della teoria alla loro applicazione nella pratica non ha mancato, d’altra parte, di porre seri problemi ai dirigenti delle principali potenze responsabili della stabilità sul continente europeo. La scelta dell’autodeterminazione ha suscitato infatti prese di posizione diametralmente contrapposte in merito alla legittimità di una decisione che aggrava le divisioni esistenti a tale proposito, sia all’interno del nuovo stato che sul piano internazionale.
Il groviglio di problemi manifestatisi a seguito dell’iniziativa kosovara
sostenuta dall’Occidente non può essere motivo di sorpresa. La messa in opera dei principi ispirati all’ideologia democratica, di cui il diritto all’autodeterminazione è ormai assurto a elemento fondamentale, non si concilia facilmente con le regole tradizionali alla base del sistema internazionale. Per quanto oggetto di crescenti contestazioni il “tabù” della sovranità e dell’integrità territoriale degli stati rimane un termine di riferimento obbligato nella conduzione dei rapporti politico diplomatici. Il processo di consolidamento di una nuova formazione statuale, anche se in questo caso garantito dall’esterno, comporta una sfida di prima grandezza sia per il neo governo nazionale che per l’Unione Europea, nel suo ruolo di tutore. Conclusa la fase di attesa che ha portato all’attribuzione, se pure con sostanziali limitazioni, dello status di indipendenza al Kosovo, ha inizio il periodo, carico di incertezze, legato al perfezionamento della condizione di autonomia infine acquisita. Lo stato di diffusa arretratezza economico sociale e soprattutto il persistere di radicate tensioni fra comunità albanese e serba, in un contesto incline alla violenza e all’illegalità, sono motivo di forti preoccupazioni. A cui si aggiunge sul piano internazionale, come conseguenza del “precedente” kossovaro, il rischio di contagio del fenomeno costituito dal separatismo etnico, sia per quanto riguarda l’area balcanica, Bosnia e Macedonia in particolare, che la regione carica di potenziale conflittualità del Caucaso, Georgia in primo luogo.
Le conclusioni che si possono trarre da un primo approssimativo apprezzamento della situazione sono in larga misura scontate: stabilito che il principio di autodeterminazione nelle varie forme istituzionali e ai vari livelli nazionali e subnazionali in cui si esercita non può essere negato, si conferma l’esigenza per Stati Uniti e Unione Europea da un lato e Russia dall’altro, di gestire le contraddizioni legate all’indipendenza del Kosovo con il massimo di realismo e senso di responsabilità che la complessità, per non dire precarietà, degli attuali equilibri internazionali richiede.
Paolo Calzini
Intervista a Predrag Matvejevic'
Lo Stato nazione non è più il protagonista assoluto degli scenari geopolitici. Unioni sopranazionali come quella europea hanno assunto col tempo un peso politico sempre maggiore. Come mai in certe parti d’Europa, il caso più recente è quello della Serbia e del Kosovo, il nazionalismo rimane così vivo?
La crisi che oggi coinvolge il Kosovo è in realtà un groviglio di
componenti nazionali e politiche, storiche e statali. I kosovari hanno proclamato l’indipendenza da parte della loro Assemblea. La Serbia ha offerto “più dell’autonomia, meno dell’indipendenza”, pretendendo di mantenere il Kosovo all’interno dello Stato serbo. Una formula il cui vero senso sembra poco chiaro o appositamente ambiguo: offrire “più dell’autonomia” non vorrebbe dire appunto concedere “l’indipendenza”? Il progetto Ahtissaari, che proponeva una “indipendenza sotto sorveglianza internazionale”, accompagnata da misure di tutela della minoranza serba in Kosovo, non è stato accettato da Belgrado. La Russia di Putin sostiene la Serbia, gli Stati Uniti e la maggior parte dei Paesi dell’Unione europea - non tutti - sono pronti a soddisfare la richiesta che viene dal 90 per cento della popolazione albanese kosovara. Questa sorta di drammaturgia si svolge su una scena insanguinata da conflitti recenti. Alle differenze etniche e nazionali si aggiungono divergenze immaginarie o “mitologiche”. Ognuno pretende di avere radici più profonde dell’altro e ragioni più convincenti per impadronirsi dei territori vicini. Gli avvenimenti reali e le loro rappresentazioni fittizie si sostituiscono così gli uni alle altre. La storia e il mito si confondono, le rivendicazioni si basano tanto sulla prima quanto sul secondo, a volte su entrambi. Gli argomenti che si invocano e le “prove” che vengono fornite sono considerati irrefutabili o addirittura “sacri”: ci si impone in nome del diritto storico, oppure si rivendica in nome del diritto naturale. Questi due diritti si scontrano proprio oggi nel Kosovo. Ed è proprio nel caso del Kosovo rispetto alla Serbia che si può osservare la trasformazione di vari aspetti della cultura nazionale in una ideologia della nazione. Ideologia che, naturalmente, risulta anacronistica al resto dell’Europa.
Da un punto di vista globale, i Balcani sono percepiti come una macroregione. Sarà possibile crearvi in un futuro prossimo una “rete virtuosa” di contatti e scambi a livello locale in grado di sfociare in un discorso comune? La ragione cosmopolita riuscirà a vincere l’illusione delle identità separate (e spesso violente) secondo la nota tesi di Amartya Sen?
Gli spazi balcanici sono disseminati dalle vestigia degli imperi sovranazionali e dai resti dei nuovi Stati che li sostituirono; idee di nazione che risalgono al XIX secolo e ideologie internazionaliste prefabbricate dal “socialismo reale”; eredità di due guerre mondiali e di una guerra fredda; vicissitudini dell’Europa dell’Est e di quella dell’Ovest; relazioni ambivalenti fra Paesi sviluppati e quelli “in via di sviluppo”; tangenti e trasversali Est-Ovest e Nord-Sud, legami e fratture fra il Mediterraneo e l’Europa, tra l’Unione europea e “l’altra Europa”. Tante divisioni e faglie, linee di demarcazione o di frontiera, materiali e spirituali, politiche, sociali, culturali e altre ancora.
Per quel che concerne eventuali rapporti di “buon vicinato” fra Serbia e Kosovo, credo purtroppo – e, anzi, sono personalmente molto preoccupato al proposito – che questi si siano rovinati definitivamente nel 1999 quando Milosevic cacciò di casa centinaia di migliaia di kosovari e ne bruciò le case. Si trattò di una vera e propria dimostrazione di politica miope e oscurantista che ha lasciato dietro di sé animosità difficilmente superabili. Anche per quanto detto sopra a proposito delle mitologie nazionaliste che purtroppo tuttora fioriscono a quelle latitudini, dopo il recente conflitto sarà molto difficile stabilire buoni rapporti fra due realtà etniche tanto antagoniste. Certo, comuni interessi economici potrebbero smussare le animosità attuali, ma nel breve periodo non prevedo un deciso miglioramento delle relazioni fra questi due popoli dalla storia martoriata. Il compito che si è assunta l’Unione Europea, un compito molto difficile, resta quindi quello di aiutare innanzitutto economicamente tutta l’area coinvolta cercando di impedire che sorgano conflitti ulteriori che rinvierebbero sine die una vera pacificazione dei Balcani.
Europa Cosmopolita
Una possibile risposta alla crisi delle politiche nazionali in Europa proviene dalle tesi di Ulrich Beck di un'Europabasata sui principi di tolleranza cosmopolita come modello per un nuovo ordine globale.
Il punto di vista espresso nell'articolo "Nation-state politics can only fail the problems of the modern world", pubblicato di recente sul The Guardian dal sociologo tedesco, indica una vera e propria svolta epistemologica, necessaria a comprendere fenomeni globali che stanno modificando il mondo in maniera epocale. Stiamo attraversando un passaggio d’epoca d’importanza fenomenale nella storia dell’uomo, ma, a quanto pare, non da tutti percepito. E’ in particolar modo il caso dell’Europa, che Beck come ha espresso ampiamente nel libro “L’Europa Cosmopolita” (ed. Carocci), ritiene il laboratorio per eccellenza per far emergere “lo sguardo cosmopolita”, lo sguardo cioè che include, che si pone rispetto all’Altro (lo straniero, il diverso) in una situazione di “sia…sia” (come lui stesso la definisce). Dovrebbe essere rimosso, eliminato, perché troppe tragedie ha fatto nascere “lo sguardo nazionalista”, quello dei confini sia territoriali che culturali, dell’arroccamento etnico e della propria identità e che nei rapporti con l’Altro risponde alla dinamica “o…o”. Oltretutto lo sguardo nazionale non è ormai più in grado di comprendere i fenomeni reali che accadono globalmente, non è in grado di dare delle risposte concrete, politiche, economiche e sociali al mercato globale, al terrorismo, all’emigrazione, ai rischi ambientali, alle guerre, ecc…
Gli Stati nazionali – che siano deboli o forti – non sono più le identità primarie in grado di risolvere i problemi nazionali. Come pure le realtà locali sono in grado di trovare soluzioni a problemi globali e viceversa.
Allora come dobbiamo rispondere alla domanda “Che cos’è l’Europa”? Come diffondere il seme di un’Europa di diversità, capace anche di agevolarne lo sviluppo? Come aiutare le persone a comprendere che questo è il momento per modificare le situazioni della convivenza umana? Come far intendere che l’Europa è una realtà e non solo un labirinto fumoso dalle caratteristiche quasi kafkiane? Come uscire dall’idea di un'Europa quasi soltanto burocratica ed arena di interessi politici ed economici degli stati appartenenti?
Le domande sono “pesanti”, difficile dare una risposta in un articolo. Se si guarda alle mancate ratifiche di Francia e Olanda alla Carta Costituzionale europea, ci accorgiamo quanto siamo lontani dall'ottenere delle risposte e quanto lavoro ed energie dovranno essere impegnati. Mi preme anche sottolineare che molti insuccessi non sono solo causa di burocrati e politici troppo impregnati di “sguardo nazionale” ma piuttosto di un ceto intellettuale incapace di farsi ascoltare dalla maggior parte della gente, così spesso chiuso in speculazioni filosofiche di “corte” o da salotti e poco propenso a disseminare e diffondere a chi non mastica certi argomenti. Tuttavia la più grave colpa è di non aver compreso la grande narrazione, il processo dell'europeizzazione.
L’Europa non è un “super Stato” (Federazione) dalle caratteristiche dello stato moderno, capace di centralizzarsi e di annullare le peculiarità degli Stati aderenti, né all’opposto una Confederazione (Intergovernalismo), cioè un insieme di relativismi particolari, sempre in conflitto per difendere o privilegiare i propri interessi. L’Europa è un processo, che ha un passato, un presente e un futuro totalmente da costruire. L’Europa è europeizzazione, cioè rispondere alle sfide del nuovo; è aprirsi al paradigma cosmopolita; è transnazionalismo; è poligamia culturale; è difesa dei diritti dell’uomo e dell’umanità; è percepire gli altri come diversi e uguali, è separare lo Stato dalla Nazione, come si fece con Chiesa e Stato dopo la Pace di Westfalia.
L’Europa è, tuttavia, soprattutto antidoto verso se stessa. Come già aveva chiarito Edgar Morin nel suo interessante testo “Cultura e barbarie europee” (Ed. Raffaello Cortina), l’Europa, e quindi l’europeizzazione, è la risposta istituzionale alle barbarie, al colonialismo, allo sfruttamento, ai genocidi e all’Olocausto che in Europa sono sorti.
L’Europa è veleno ed antidoto per se stessa, è la memoria di un passato violento fatto di più di venti secoli di guerre e massacri e che pertanto conosce. L’Europa è l’uomo al centro della sua storia, al quale, in questo momento, consegna più forte che mai la responsabilità di decidere cosa farne, perché – come scrive Beck – “siamo tutti condannati a vivere e sopravvivere gli uni accanto agli altri nella ristrettezza del mondo globalizzato”.
Riccardo Giumelli
Emilia Romagna glocal
Il 19 e il 22 febbraio scorsi Globus et Locus, su invito della Provincia di Piacenza, ha partecipato a due importanti incontri aventi come protagonista la Regione Emilia Romagna: la presentazione del Piano Territoriale Regionalee la Consulta degli Emiliano Romagnoli nel mondo.
Il primo incontro dal titolo “Una regione attraente: verso il Piano territoriale regionale”è stato una delle tappe del tour che la Giunta regionale sta compiendo per illustrare il PTR e avere dalle comunità locali indicazioni utili a calibrarlo. Al centro del documento ci sono tematiche quali: ambiente, sviluppo, innovazione tecnologica, ricerca, sapere, economia della conoscenza. Per affrontare queste sfide, il Presidente della Regione Vasco Errani ha sottolineato l’importanza di ragionare per funzioni, a prescindere da confini territoriali: “la grande novità del glocal è che a competere sono sempre più i sistemi territoriali, non la nazione in quanto tale, con i suoi valori economici, sociali, ambientali”. Gli stessi concetti sono stati ripresi dal Presidente di Globus et Locus, Piero Bassetti, che ha evidenziato l’importanza di porre il rapporto tra locale e globale in un’Europa che non sarà quella degli Stati nazionali ma farà inevitabilmente riferimento alle Regioni. “Oggi la sfida di tutti i regionalismi è recepire la nuova dimensione che va oltre lo stato nazionale e che è quella globale (per noi l’Europa). E’ la dimensione di questo nuovo rapporto tra locale e globale che dobbiamo sviluppare reciprocamente”.
La seconda occasione di incontro è stata la riunione della Consulta degli Emiliano Romagnoli nel mondoa Roveleto di Cadeo (PC). Una Consulta sempre più rivolta alle giovani generazioni e impegnata a sostenere gli emiliano romagnoli nel mondo dentro un impianto di profonda innovazione, come ha messo in evidenza la Presidente della Consulta, Silvia Bartolini: “il panorama nuovo, culturale, tecnologico chiede anche a noi di lavorare meglio, con una cassetta degli attrezzi più grande: nel mondo ci sono più esigenze, l’emigrazione tradizionale c’è ancora ma è molto diversa. Ci sono i nuovi emiliano romagnoli nel mondo che sono i ricercatori, gli imprenditori che hanno anche la volontà di mettere radici nei territori in cui insediano le imprese. E’ necessario pensare ad una memoria creativa che aggrega i giovani, si riproduce.”
I grandi temi all’ordine del giorno sono stati la multiculturalità, il tema ambientale, la promozione della lingua.Il tema della lingua, in particolare, sarà al centro di un seminario ad hoc durante la prossima riunione della Consulta in ottobre. Il Presidente della Provincia di Piacenza, Gianluigi Boiardi ha sottolineato la necessità di trovare nuove modalità per far riconoscere la nostra italicità nel mondo. Un tema che Globus et Locus ha sviluppato nel progetto "Italici" e sul quale si propone di continuare a lavorare tramite alleanze e nuove progettualità.
Per approfondimenti, dal sito della Provincia di Piacenza:
Presentazione del PTR:
http://www.provincia.piacenza.it/Leggi_Articolo.asp?IDArt=1862
La Consulta degli Emiliano Romagnoli nel Mondo:
http://www.provincia.piacenza.it/Leggi_Articolo.asp?IDArt=1872
GL e il Nord Italia
Il 14 marzo, Globus et Locus parteciperà al Convegno "Il Nord e il Piemonte", primo passo del progetto di ricerca “Sviluppo economico, Società e Istituzioni nell’Italia del Nord”, promosso da Fondazione IRSO, IRES e Regione Piemonte.
L’iniziativa si propone di iniziare un’indagine sulle reti di città, imprese e istituzioni del territorio regionale, che fornisca un quadro delle relazioni, dei nessi e dei progetti esistenti tra i diversi attori, con l’obiettivo di stimolare la consapevolezza di tali esperienze e la narrazione del territorio come regione globale, per una più efficace definizione delle politiche locali.
Globus et Locus, che già assume il Nord Italia come locus di riferimento per la propria riflessione e azione, porterà il suo contributo nella riflessione sull’identità e la rappresentazione dell’Italia del Nord, particolarmente in relazione all’Europa e al mondo globalizzato, e su qualipolitiche e istituzionipossano servire un’Italia del Nord ormai relazionale, interconnessa e glocale.
14 marzo 2008, h: 9.00 - 18.30
Centro Incontri Regione Piemonte
Corso Stati Uniti, 23 Torino
Programma del Convegno
La recensione del mese
"Una sociologia della globalizzazione", Saskia Sassen, Einaudi 2008
Questo libro, particolarmente ricco di sollecitazioni intellettuali, affronta in tutta la sua complessità il fenomeno della globalizzazione, considerato in una prospettiva innovativa, non riconducibile esclusivamente al tema dell’interdipendenza. Non si limita quindi a un apprezzamento delle istituzioni globali per definizione, quali le Nazioni Unite, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, il Fondo Monetario Internazionale; né riserva prioritariamente la sua attenzione agli stati nazione, nel ruolo di attori esclusivi operanti nel quadro del sistema delle relazioni internazionali caratteristico dell’attuale fase storica.
Utilizzando categorie analitiche aggiornate, viene promossa una riconfigurazione degli elementi portanti della globalizzazione, che permetta di superare le strettoie determinate dalla contrapposizione tradizionalmente accettata, nazionale/globale, e locale/globale. Da questa angolazione particolare deriva l’originalità dello studio che attingendo ampiamente, anche se criticamente, alle ricerche nel campo delle scienze sociali, permette all’autrice di portare avanti con successo la propria linea di interpretazione. In questa prospettiva si analizzano i processi e le formazioni, localizzati in ambiti nazionali e subnazionali, caratteristici del rapporto di interazione stabilitosi con le dinamiche globali. Ne consegue l’individuazione delle reti transnazionali e dei mezzi di collegamento che sostengono l’articolato sistema di relazioni multidimensionali venutosi a creare nei rapporti che riguardano paesi e località. Sono esempi di questa realtà, e in quanto tali vengono esaminati in una serie di capitoli particolari, le comunità transnazionali, le migrazioni etniche, le città globali, i centri e le istituzioni finanziarie, le catene di merci globali, ecc. Si tratta di soggetti che, alla luce del riposizionamento dello stato nazione, operano come attori di primo piano nel contesto del processo glocal affermatosi sul piano mondiale.
Contributo fondamentale al dinamismo della globalizzazione viene fornito dalla rivoluzione digitale, la cui funzione nel promuovere informazione e comunicazione riveste un rilievo politico e culturale, oltre che economico, di prima grandezza.
A conclusione del suo impegno di ricerca l’autrice sottolinea l’esigenza di portare avanti l’analisi intrapresa mantenendosi fedele all’ottica non convenzionale seguita in questo studio, considerata una scelta obbligata per poter dar conto in modo esauriente di quello che definisce emblematicamente “una storia in atto”.
Paolo Calzini