I nuovi paradigmi della mobilità
Iltema dell’accoglienza dei nuovi migranti e del complesso rapporto con le popolazioni locali, riguarda da tempo anche l’Italia e ha recentemente suscitato un ampio dibattito con i noti fatti di Rosarno. Un episodio che ha creato grandi perplessità, anche al di fuori dell'Italia.
Una chiave di lettura e di comprensione di questa problematica, legata al senso della presenza dei “nuovi mobili”, può essere offerta dalla presa di coscienza che, fra i grandi cambiamenti prodotti dalla glocalizzazione, uno dei più importanti è quello della mobilità.
L’era in cui viviamo ha imposto a tutti noi una svolta epocale legata al fatto di vivere a tempo e spazio zero.
In un mondo così mutato, anche l’idea di cittadinanza, di appartenenza, ha subito profonde evoluzioni, sulle quali è necessario riflettere. L’era dalla globalizzazione e dell’interdipendenza planetaria ci pone di fronte a una trasformazione dell’idea stessa delle migrazioni e, nel passaggio da un mondo internazionale a uno glocal, il tema dell’immigrazione (o delle migrazioni), è in via di superamento, sostituito da una rinnovata concezione della mobilità e della pluriappartenenza. Mobilità delle cose, dei segni e anche delle persone.
In altre parole, oggi viviamo all’interno di un mondo glo-cale (globale e assieme localizzato) dove sono i nodi delle grandi reti economiche a dettare i ritmi e i riti degli spostamenti, anche di quelli esistenziali.
L’attuale difficoltà ad accogliere i nuovi arrivati spesso si accompagna alla scarsa conoscenza di alcuni parametri, quali l'elevata percentuale dei ritorni nella madrepatria dopo alcuni anni di lavoro all’estero e la disponibilità, da parte degli stranieri, a svolgere alcune tipologie di lavori da tempo rifiutati dalla cittadinanza locale. Ad oggi, la regolazione e gestione dei flussi di mobilità nel nostro Paese è del tutto insufficiente: circa la metà dei nuovi arrivati di Rosarno non aveva alcun permesso di lavoro.
A nostro avviso, un’opportunità interessante tramite la quale proporre nuovi spunti per affrontare il fenomeno delle nuove mobilità è quella offerta dalle organizzazioni non governative. Le strutture che praticano l’associazionismo, la cooperazione, il volontariato, per loro natura hanno la capacità di ramificarsi e di innestarsi nel tessuto sociale, contribuendo attivamente a sviluppare una cultura sensibile alla multiculturalità. Accade sovente che, nei periodi di grandi cambiamenti, come l’attuale, la percezione della necessità di un progresso, nel modo di pensare e di sentire comuni, parta dal territorio prima che dalle istituzioni, e che sia a questo livello che vengono affrontate le problematicità e proposte nuove soluzioni. Le ONG potrebbero quindi svolgere un ruolo centrale nel contribuire a valorizzare la relazione tra migrazione e sviluppo, sia nei paesi di partenza che di destinazione.
In tal senso, sarà importante guardare al terzo settore come a una nuova risorsa per affrontare al meglio le sfide della glocalizzazione e favorire la diffusione del concetto di pluriappartenenza e pluriidentità.
Sarà, quello dell’immigrazione, uno dei temi principali su cui riflettere, alla luce del nuovo paradigma della mobilità, che per certi versi è la nuova forma del mondo. L’esperienza ci suggerisce di coglierla nei fittissimi collegamenti tra la dimensione onnicomprensiva globale e i nodi produttivi locali. Perdere di vista il continuo e necessario interscambio fra queste due dimensioni ci porterebbe a pericolose semplificazioni e derive nazionali quando non nazionalistiche, che ben poco hanno a che fare col mondo in cui viviamo.
The City of Flows
Esce in questi giorni il volume del Laboratorio RISC “The City of flows. Territories, agencies and institutions”, a cura di M. Magattie L. Gherardi, Bruno Mondadori-Ricerca.
Il libro è una raccolta di saggi di alcuni autori che sono stati ospiti negli ultimi tre anni (2007- 2009) del Laboratorio RISC(rispazializzazione, istituzionalizzazione e socialità contemporanea), promosso da Globus et Locus incollaborazione con la Camera di Commercio di Milano e la facoltà di sociologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Grazie al contributo di intellettuali di fama internazionale, come Marc Augé, Vincent Kaufmann, Patrick Legalés, Saskia Sassen e Nigel Thrift, il libro analizza le principali problematiche collegate con la glocalizzazione, come il rapporto tra la “logica della territorialità” e la “logica delle funzioni” nel governo della città.
La premessa da cui è partito il Laboratorio Risc è che le funzioni e le diverse
“comunità di pratiche” che le esercitano (imprenditoriali, finanziarie, della conoscenza e della comunicazione) stanno configurando un territorio nuovo rispetto ai parametri spazio-temporali a cui eravamo abituati.
Tali comunità infatti operano secondo logiche transterritoriali e sempre più spesso con i loro comportamenti disegnano nuovi spazi relazionali all’interno di orizzonti che trascendono le dimensioni regionali e nazionali. Questi nuovi spazi – tendenzialmente discontinui, mobili, a geometria variabile – si caratterizzano per l’elevata mobilità transnazionale di cose, persone e segni che li attraversano, rendendo i confini sempre più labili e i tempi dei processi comunicativi sempre più reali. In questo contesto, le istituzioni, vincolate per la loro natura territoriale ai confini politici, normativi e amministrativi, sono sfidate a monitorare, comprendere e regolare con strumenti nuovi tali processi in atto nelle città.
Il Laboratorio Risc ha in questi anni approfondito tali tematiche, ponendo al centro delle sue attività seminariali alcune riflessioni sulla natura e le possibilità di implementare le nuove politiche pubbliche nel mutato contesto contemporaneo delle città globali europee, e in particolare di quella di Milano.
Come possono queste politiche rispondere alla sfida posta dal rapporto tra logica del territorio e logica del governo delle funzioni? Come è possibile governare spazi sempre più attraversati dai flussi?
Quali sono i tratti di questo nuovo contesto in cui le istituzioni rischiano di avere una diminuita capacità simbolica e narrativa, essenziale alla creazione del consenso? Come recuperare tale capacità, che influisce enormemente sull’efficacia delle policies urbane stesse?
Il Laboratorio, ha iniziato a rispondere a queste domande all’interno di un seminario permanente, congiungendo la riflessione accademica e la conoscenza degli attori che operano nella realtà in trasformazione. L’opzione metodologica scelta dal Laboratorio postula infatti che una fase come quella attuale possa essere compresa solo se si tengono legati e si fanno dialogare questi due livelli di conoscenza.
Globus et Locus ritiene che la collaborazione col Laboratorio RISC sia di grande significato nel perseguire le risposte alle domande poste dalla società glocale e intende continuare a contribuire al dibattito in atto con ulteriori riflessioni di cui questo libro è un primo episodio.
Arte e italicità: gli Uffizi sono globali o locali?
Intervista a Cristina Acidini, Soprintendente per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze.
Nel corso della sua carriera, la Prof.ssa Acidini, nota
storica dell'arte, ha ricevuto diversi riconoscimenti, come il Premio Salimbeni, Nelli Award, Firenze donna. Ha scritto e curato libri sulla committenza d’arte dei Medici, sugli artisti della Firenze rinascimentale e in particolare su Michelangelo scultore e pittore; ha inoltre scritto due apprezzati romanzi. Le abbiamo chiesto un commento sul rapporto fra arte e italicità.
1. Nella storia decennale dell’Associazione Globus et Locus, il filo rosso che lega tutte le esperienze, le riflessioni e le progettualità, è il glocalismo. Questo termine identifica il cambiamento epocale generato con la globalizzazione, che ha prodotto un intreccio indissolubile fra la dimensione globale e quella locale. In pratica non esistono luoghi che non siano in misura crescente attraversati da flussi globali di varia natura, e, per contro, non ci sono flussi globali che non siano in misura crescente declinati secondo le diverse e molteplici particolarità dei luoghi.
Il nuovo assetto del mondo globalizzato ha certamente modificato anche le modalità in cui l’arte viene organizzata e fruita. Quali sono i cambiamenti che, secondo lei, il mondo glocal ha determinato nel modo, ad esempio, di organizzare una mostra, o di gestire un museo?
Nel mondo dell’arte, sono particolarmente vivaci le dialettiche, e anche le tensioni tra globale e locale. Solo per fare un esempio eclatante: la Galleria degli Uffizi è globale o locale? I massimi capolavori che contiene ed espone sono su tutti i libri di storia dell’arte, rappresentano l’apice della pittura dell’ Occidente Cristiano dal Medioevo al Rinascimento, sono ammirati da un pubblico internazionale. Ma d’altro canto, sono un’antologia d’eccellenza dell’arte fiorentina, profondamente legati a luoghi e committenti della nostra storia. E dunque? In questo caso l’interesse planetario coincide con una dimensione assolutamente locale.
La fruizione dell’ arte oggi, certo, risente della commistione delle due dimensioni. Il pubblico dei musei si aspetta un’accoglienza corrispondente a standard omologati (che in fondo vanno bene anche per aeroporti e altri luoghi di transito): indicazioni chiare e in più lingue, punti di ristoro, ampia offerta nei punti vendita, accesso garantito a portatori di qualsiasi disabilità. Aspettative comprensibili, che però a stento si conciliano con i nostri luoghi d’arte, quasi sempre progettato per altre funzioni (palazzi, ville, conventi) e adeguati nel tempo e con impegno. E anche nell’allestimento molti ricercano l’omologazione: stessa luce, stessa visibilità per tutte le opere… Così una "quadreria" straordinaria come la nostra Galleria Palatina, che espone i quadri su tre e quattro file in "stile granducale", non è compresa nel suo valore d’insieme e genera confusione e stanchezza. Insomma, le abitudini globali rischiano di inibire la percezione delle specificità e delle singolarità locali, in cui risiede invece il fascino dell’esperienza diretta del viaggio e della visita.
2. Secondo lei, il “linguaggio”, o meglio, i tanti “linguaggi” dell’arte che ruolo possono avere nell’agevolare la comprensione del fenomeno delle nuove identità nate con la globalizzazione, e in particolare di quella degli italici?
Credo che - nel seguire il percorso delle “emozioni” e dei “valori” - si dovrebbe riuscire a trasmettere attraverso l’arte italiana il senso dell’appartenenza a una comunità, sia pure ibridata e dispersa. Tutto il mondo riconosce agli italiani un’attitudine estetica superiore che si esprime nella moda, nel design, nello stile di vita in generale: ebbene, è fondamentale far riconoscere il radicamento profondo di queste abilità progettuali e creative nell’arte del passato remoto e recente, un’arte pervasiva che s’irradiava da castelli e da cattedrali ma anche, e non meno, da oggetti d’uso e da ornamenti.
3. Esiste secondo lei e come si potrebbe definire l’arte italica? Ci sono degli artisti nel mondo che ben rappresentano, con la loro arte, l'italicità?
Se dovessi definire un parametro per l’italicità dell’arte, chiamerei in causa il senso dello spazio. I nostri artisti hanno raffigurato e dominato lo spazio in una visione, per la quale il Brunelleschi fornì le regole con la prospettiva. Pensiamo alla differenza con l’arte dell’Estremo Oriente, dove lo spazio sfugge e si dilata, incorporando il vuoto. Il grande movimento che ha declinato la spazialità italiana nel linguaggio novecentesco è a mio vedere la Metafisica, ancor oggi viva e attuale a un secolo dal suo esordio con De Chirico.
Capitali italiane nel mondo
Dalla Russia degli Zar alle Little Italies statunitensi. Un convegno e una mostra per riflettere sul ruolo dell'architettura italica nel mondo.
Il ruolo e l’importanza degli italici possono essere letti anche attraverso il contributo dato da tutti quei migranti che, con il loro ingegno e la loro creatività, hanno reso possibile lo sviluppo di città “italiche” nel mondo, durante i decenni dell’emigrazione italiana.
Questo è stato il tema del convegno “L’Italia fuori Italia. Aggirare stereotipi e sentirsi a casa”, organizzato dalla Regione Piemonte e dall’Ordine degli architetti della Provincia di Torino (OAT),nella prestigiosa sede del Circolo dei Lettori, il 28 gennaio. L’incontro si è svolto nell’ambito del progetto “Capitali italiane nel mondo 1861-2011”, un'iniziativa promossa dalla stessa Regione e dall'OAT in occasione delle celebrazioni previste per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, e che prevede, oltre al convegno, anche una mostra.
Quella del 2011 infatti, come ha spiegato Mercedes Bresso, Presidente della Regione Piemonte, nel suo intervento di apertura dei lavori, sarà l’occasione per accogliere la vasta platea degli italici, ossia degli italiani di origine e di varia generazione, ticinesi, dalmati, sammarinesi, loro oriundi e italofili. Una community glocale di circa 250 milioni di persone suscettibile di assumere un importante peso storico-culturale nel mondo.
L’intento del progetto “Capitali italiane nel mondo 1861-2011”, è quello di valorizzare il ricco patrimonio culturale italiano nel mondo, e, partendo dallo spunto offerto dal tema dell’architettura, cercare di mettere in luce quei valori e quelle caratteristiche che, in 150 anni di emigrazione, hanno prodotto uno stile riconoscibile e apprezzato ovunque.
Fra le personalità del mondo accademico e della cultura che hanno collaborato alla realizzazione del progetto, è intervenuta anche Maddalena Tirabassi, Direttrice del Centro Altreitalie, la struttura impegnata nello studio delle migrazioni italiane nel mondo, recentemente trasferita dalla Fondazione Agnelli a Globus et Locus. La Dott.ssa Tirabassi, nel suo intervento dal titolo “Migrazioni italiane e segni italiani” ha sottolineato l’importanza della chiave di lettura data dal convegno alle migrazioni, inserite nella più ampia visione del fenomeno degli italici.
La giornata di incontri è stata quindi l’occasione per parlare di modelli di comportamento, abitudini di vita, relazioni sociali esportati dai nuovi immigrati nel mondo e di come questi ultimi siano stati in grado di arricchire culturalmente le zone in cui progressivamente sono andati a insediarsi. Dall’Etiopia all’Eritrea, dalla Grecia all’Argentina, al Brasile, agliStati Uniti, fino ad arrivare, in tempi più recenti,alla Cina e ai paesi arabi: sono numerose in tutto il mondo le città che in qualche modo possono definirsi “italiche”.
Ulteriori approfondimenti sul Progetto "Capitali italiane nel mondo 1861-2011" si trovano sul sito dell'Ordine degli architetti di Torino.
I motori della memoria
Mercoledì 10 febbraio sarà presentato il libro I motori della memoria. Le piemontesi in Argentina di Maddalena Tirabassi.
L’evento, realizzato in collaborazione con la Regione Piemonte, Assessorato Welfare, Emigrazione Immigrazione, il Centro Altreitalie sulle Migrazioni Italiane - Globus et Locus, sarà l'occasione per presentare il libro della Dott.ssa Tirabassi, risultato di una ricerca appena svolta sul tema dell’emigrazione di origine piemontese in Argentina, realizzata su richiesta della Regione Piemonte.
L'incontro, a ingresso libero, si terrà alle 16.00, in via Giacosa 38, a Torino.
Scarica il programma de ‘I motori della memoria’ (pdf)
Incontro CeSPI-GL-IILA
Il prossimo 25 febbraio si svolgerà a Roma il seminario “Il mondo si glocalizza. L’azione internazionale dei governi subnazionali”.
All’incontro, organizzato da CeSPI, Centro Studi di Politica Internazionale, Globus et Locuse Istituto Italo-Latino Americano (IILA), interverranno importanti personalità del mondo politico e istituzionale.
Il seminario intende offrire delle riflessioni di sintesi sull’insieme di attività di proiezione internazionale che le regioni e gli enti locali italiani hanno svolto nell’ultimo decennio.
L'incontro, aperto al pubblico, si svolgerà presso la sede dell’IILA, in piazza Cairoli 3, Roma, con inizio alle ore 15.00.
Per informazioni:
Globus et Locus, info@globusetlocus.org
La recensione del mese
“I media della diaspora italiana. Dal bollettino al blog”, di Giorgio Silvestri, Mare Nostrum, Ibérica de Coperación Europea, Madrid 2009
Il volume costituisce un interessante compendio storico-mediatico del
giovane italico Giorgio Silvestri, italiano di nascita ma residente a Madrid. Che la questione dei media e dell’italicità venga riunita in un’unica opera è un novum, ed è questa la motivazione per cui si è ritenuto interessante segnalare questo testo, pubblicazione della tesi di dottorato dell’autore. L’esplicito uso delle categorie "italico" e "italicità" è fondato infatti su un’interpretazione della diaspora italiana di tipo moderno e non riferita all’usuale unilateralità Italia-estero che per lungo tempo ha caratterizzato gli studi sull’emigrazione italiana.
Nell’introduzione al libro Silvestri scrive: “’Italico’ e ‘italicità’, termini un tempo usati dagli storici in riferimento ai popoli rivali di Roma via via inglobati da questa, sono diventati di uso corrente nei primi anni ’90 grazie all’allora presidente dell’Associazione della Camere di Commercio italiane all’estero, Piero Bassetti".
A suo giudizio l’italicità va oltre l’appartenenza etnica, linguistica o giuridica alla comunità italiana e abbraccia la sfera culturale: include cittadini italiani residenti nella penisola e all’estero, oriundi, italofoni e italofili sparsi in qualunque angolo del pianeta”.
Partendo da questo assunto, Silvestri dà notizia dell’evoluzione della stampa di matrice italiana all’estero dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri rilevando l’importanza attuale dei new media in ambito italico. A questo proposito, in ogni caso, Silvestri rileva: “se in genere si considera il new medium per eccellenza come il più ferreo rivale dei generi giornalistici di sempre, almeno nel caso italico dobbiamo ricrederci: sono poche infatti le testate nate e diffuse solo in rete o che abbiano abbandonato edicole o frequenze eteree per uscire unicamente in versione digitale”.
Un tempo spesso legati e collegati a decisioni prese in seno alla politica nazionale italiana, oggi i media italici attuano un’informazione certamente connessa alla madrepatria, ma sempre più legata al luogo in cui vengono pubblicati dando notizia degli interessi e le attitudini degli italici sparsi nel mondo.
La completezza dello studio di Silvestri– vi vengono monitorati tutti i media italici, dalla stampa scritta ai media elettronici – fa di questo libro un utile orientamento sull’evoluzione del concetto di “fare stampa” fra gli italici fornendo inoltre gli auspici per un ulteriore salto di qualità di questo fondamentale segmento di una comunità transterritoriale in fase di riconoscimento e aggregazione.
Rassegna Stampa
A world of troubles
The Wall Street Journal
Beyond Minarets. Europe's growing problem with Islam
Yale Global
Immigration in Italy. Southern misery
The Economist
English or Hinglish? Does it matter what indian students are learning?
The Guardian
Ritorno al futuro: le metropoli europee si rifanno il look all'insegna dell'ecologia
Café Babel
In praise of hybridity
openDemocracy
Il consumatore diventa "glocale" mixando ingredienti diversi
Mark up
Up in the air
Times
Guidos on MTV: tangled up in the feedback loop
i-Italy