Quale servizio pubblico mediatico nell’era glocal?
Nel contesto della società di oggi (glocal, mobile, multiculturale), qual è il ruolo e quali sono i target prioritari ai quali si deve rivolgere un servizio pubblico radiotelevisivo? Negli ultimi mesi Globus et Locus ha avviato un confronto su questa problematica con l’Associazione Infocivica , a partire dal convegno “Per un servizio pubblico multimediale ”, tenutosi a Roma il 22 ottobre 2008 nell’ambito di Eurovisioni, e proseguito con altre occasioni di dibattito.
E’ da tempo in crisi l’idea di comunicazione sostanzialmente unidirezionale, al servizio del centro di potere statuale. Oggi siamo inseriti a tutti gli effetti nel “mondo globale” che ci condiziona in ogni istante, dato che la tecnologia ha ridotto a zero lo spazio e il tempo e non ci sono barriere che l’informazione istantanea non riesca a superare. Il confine nazionale non è più capace di preservare i valori un tempo nazionali dalle tendenze che provengono da fuori. È quindi evidente che abbiamo bisogno di un’idea di comunicazione del tutto nuova per ricaricare di coesione sociale il mondo che ci circonda, quello nazionale, quello locale, quello europeo, quello globale.
E’ questo un tema più che mai aperto, soprattutto nel contesto europeo dove sono state
storicamente fissate le basi del concetto di servizio pubblico. In primo luogo per l’importante traguardo del 2012, data prevista per il completamento del passaggio alle tecnologie digitali in tutti gli stati dell’UE e la fine del segnale analogico. Non a caso il compito di “digitalizzare il Paese” è stato uno dei punti cardine dell’ultimo rinnovo decennale della Royal Charter su cui si fonda il mandato della BBC. Anche in Francia emergono segnali di rinnovamento del servizio pubblico con l’eliminazione della pubblicità (per il momento parziale e in prospettiva totale). E l’Italia? Oggi più che mai ha bisogno di proposte di governance che superino le diatribe sulle commissioni di vigilanza, che consentano di passare da una situazione nazionale chiusa a un discorso di maggiore amalgama e integrazione in ambito europeo.
La dimensione di riferimento è quindi l’Europa. Se perfino l’ordine pubblico ha già accettato la dimensione europea (Schengen), è chiaro che non è pensabile che i sistemi mediatici si chiudano nei confini dei singoli stati. L’evoluzione tecnologica (innegabile) sta trasformando gli strumenti e i rapporti con l’audience. E’ significativo in questo senso l’esempio dell’accordo CNN-Facebook che ha permesso a milioni di internauti di seguire in diretta sulla famosa piattaforma di social networking il cyber-insediamento del presidente Obama. Ma gli esempi di commistione tra servizi pubblici audiovisivi tradizionali e new media sono numerosi.
Il servizio pubblico nel mondo glocal parlerà dunque il linguaggio della multimedialità, della cross-medialità e dell’interattività, e potrà affermarsi solo se emergeranno forze capaci di costruirlo.
Globalizzazione e nuova statualità
In occasione del convegno “Milano tra ricostruzione e globalizzazione. Dalle carte dell’archivio di Piero Bassetti” organizzato dall'Università degli Studi di Milano il 16-17 dicembre 2008, Davide Cadeddu ha condotto una riflessione sul problema della ‘nuova statualità’.
Di seguito, un estratto dell’intervento in cui viene proposta una sintesi
interpretativa del concetto di nuova statualità attraverso un paradigma di politica messo in relazione con il concetto di ‘modernità liquida’ di Zygmunt Bauman.
«Modernità» è parola polisemantica, che implica genesi e sviluppi differenti, in relazione ai parametri di volta in volta considerati. Rilevante al fine di definire questi possibili paradigmi sembra essere il mutamento del rapporto tra spazio e tempo.
Davide Cadeddu
Estratto dell'intervento di Davide Cadeddu
Programma del Convegno
I ticinesi di fronte alla sfida dell'italicità
Presentazione in Ticino del libro-intervista a Piero Bassetti “Italici. Il possibile futuro di una community globale”
3 febbraio 2009, Lugano
Chi sono gli italici? Ce lo spiega in questo interessante libro intervista Piero Bassetti, il “padre ideale” della dinamica community transnazionale che accomuna gli italiani oriundi, gli italofoni, gli italofili e tutti coloro che, magari senza avere nemmeno una goccia di sangue italiano, hanno però abbracciato valori, stili di vita e modelli che rimandano alla cultura italiana. L’italicità è una rete di persone sparse in tutto il globo, ma è pure un senso di appartenenza alle proprie radici. Radici lombarde, toscane, dalmate o ticinesi. In particolare, oggi il Ticino è sfidato da questa “seconda appartenenza”, valoriale e non di passaporto, che potrebbe permettergli di presentarsi al mondo come svizzero e nel contempo italico. La riflessione proposta nel libro dà una lettura degli eventi che caratterizzano l’attuale fase storica della “diaspora” italica cercando di spiegare i vantaggi che gli italici ricaverebbero stringendo le relazioni già esistenti. Vantaggi che sarebbero innegabili anche per il Canton Ticino.
“Italici. Il possibile futuro di una community globale”, P. Accolla, N. d’Aquino (a cura di), Giampiero Casagrande editore, 2008.
3 febbraio 2009, ore 11.00
Villa Ciani, Sala degli Specchi
Lugano
Interverranno:
On. Giorgio Giudici, Sindaco Città di Lugano
Piero Bassetti, Presidente di Globus et Locus
Franco Zambelloni, filosofo
Sito ufficiale della Città di Lugano: www.lugano.ch
E-government: tendenze e novità
di Chiara Battistoni
In occasione del Symposium It di Cannes, svoltosi lo scorso novembre, Gartner (www.gartner.com) ha ipotizzato che dal 2013 oltre il 70% delle strategie di “governo elettronico” focalizzate sul cittadino siano destinate a fallire. Significa cioè che buona parte degli approcci centralisti oggi diffusi nel settore dell’e-government, in cui è il cittadino a interrogare il portale della Pubblica Amministrazione attraverso siti specifici, sostanzialmente chiusi a fruizioni che non siano quelle strettamente legate alle attività di amministrazione e governo,è destinata a fallire. Con generazioni di cittadini sempre più avvezzi all’uso delle tecnologie dell’informazione, abituati a costruire nel Web i propri contenuti, sarà sempre più difficile per le agenzie governative, i ministeri, la Pubblica Amministrazione centrale e locale attrarre fruitori nei propri siti.
Il paradigma del futuro, solo in parte sperimentato oggi nel mondo anglosassone, prevede la diffusione di portali, per lo più privati, che sono di fatto intermediari tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione; accade cioè che il cittadino, accedendo a siti che offrono contenuti di business o semplice divertimento, possono al tempo stesso accedere ai servizi della Pubblica Amministrazione.
Il risultato è il superamento dei tradizionali confini dello “stato
virtuale”; se ne costruiscono di nuovi, incardinati allo sviluppo delle community nate e cresciute nei social network. Sempre più spesso, saranno i cittadini, i veri protagonisti della vita di un Paese, a scegliere i canali di interazione con la propria amministrazione, rendendo irrilevanti i portali di e-government tradizionali. Mentre oggi il ruolo primario di un Social Network sviluppato dall’amministrazione pubblica è quello di facilitare lo scambio di informazioni e costruire nuovi percorsi di interazione, in futuro l’obiettivo sarà quello di aprirsi alle Community già esistenti, in una condivisione di servizi resa possibile anche da siti commerciali.
Non ci sono ancora esempi concreti ma la tendenza in atto si ravvisa già nelle logiche sempre più diffuse di peer-to-peer, applicate al sistema creditizio o al sistema dei brevetti (come l’americano Peer to Patent, www.peertopatent.org). Intermediari specializzati, banche, aggregatori, motori di ricerca, community saranno di fatto i nuovi canali di interazione per fruire di servizi e adempiere ai propri doveri di cittadini, in una logica davvero glocale, in cui l’esperienza individuale si arricchisce e completa la dimensione globale, con il risultato di “glocalizzare” anche i dati personali. Le capacità di auto-organizzarsi dei sistemi umani trovano qui un luogo virtuale in cui manifestarsi.
Scrive Edgar Morin nel suo “I mie Demoni”, un libro che assomiglia a un’autobiografia ma è soprattutto diario di pensieri e di emozioni: “La cultura non è frutto di accumulo ma una forza che si auto-organizza: coglie le informazioni principali, seleziona i problemi di fondo, utilizza i principi di intelligibilità che colgono i nodi strategici del sapere”. Nella riflessione di Morin ci sono due parole chiave, intuite ben prima che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione ne facessero esperienza quotidiana: auto – organizzazione e nodi strategici, due concetti che ribaltano i più tradizionali paradigmi del sapere. Ogni individuo è nodo strategico che contribuisce alla costruzione e alla crescita della cultura; il ricorso al web (in particolare il Web 2.0, che pone al centro delle tecnologie l’interazione e l’auto – organizzazione dei contenuti e delle relazioni) ne permette la condivisione in un’ottica sempre più glocale. La singola conoscenza, messa a disposizione degli altri, si trasforma, diventando sempre più conoscenza globale, pur non perdendo i caratteristici tratti locali.
Le nuove tecnologie sono sempre più strumenti di implementazione del glocalismo, proprio perché capaci di abilitare quel dialogo incessante tra locale e globale che con i più tradizionali strumenti di comunicazione sconta tempi lunghi di realizzazione e frequenti asimmetrie informative. La diffusione dei Social Network, assurti in Italia a tardivo fenomeno di moda dopo che l’Occidente tutto ne faceva ampio uso da anni, sono un primo, concreto esempio di come l’approccio glocale possa trasformarsi in azione concreta.
La recensione del mese
“L’Umanità Multiculturale”, C.Galli, Il Mulino, Bologna 2008
Questo libro affronta con spirito rigoroso, problematico e appassionato il tema della sfida posta all’umanità di oggi, complessa e multiculturale, dal riaffermarsi di culture (o forme identitarie) sempre più espressione di comunità nazionali, uniche per linguaggio, appartenenza etnica, tradizioni, religione.
A produrre quest’umanità - unita ma divisa, complessiva ma differenziata - è stato il processo di globalizzazione capitalista, in atto dai primi anni del novecento e manifestatosi a ritmi accelerati e con impeto travolgente nel periodo che va dalla fine della guerra fredda ai giorni nostri. Questo processo ha determinato una profonda mutazione degli equilibri mondiali ideologici, geopolitici e economici, e ha fortemente ridimensionato il ruolo dello stato quale custode dell’esistenza della rispettiva comunità nazionale.
La globalizzazione non ha portato come era nelle speranze di molti un collegamento del particolare con l’universale, l’uguaglianza fra le nazioni, l’uniformità dei valori e quindi un’unità del mondo. Il quadro offerto dalla situazione mondiale, giudicato con inquietudine dall’autore, si caratterizza al contrario per uno stato permanente di conflittualità provocato dalla contrapposizione fra culture diverse e in primo luogo dalle pretese egemoniche di quella occidentale.
L’occidente, individuato come “nemico”, si introduce nella realtà in molteplici forme utilizzando il proprio potere e il proprio sapere, convinto della valenza universale dei propri valori. Ma nell’interazione con le culture tradizionali vede trasformata, se non addirittura negata, la propria particolare concezione di umanità dolente, differenziata per appartenenza culturale, atteggiamento politico, condizione economica, che reagisce alle pressioni crescenti dell’età globale.
Ne consegue un’immagine di umanità che non corrisponde affatto alla visione di un’umanità pacificata all’insegna dell’accettazione dell’unità nel rispetto della diversità. Non quella ispirata allo spirito del cosmopolitismo che postula una coesistenza costruttiva fra una pluralità di attori nazionali basata su valori condivisi, né tanto meno quella propagandata dall’ideologia capitalista che preconizza l’avvento di un’unità fondata su un intreccio di interessi comuni.
Appare in ogni caso evidente che è con questa umanità, articolata in comunità differenti, soggette a ingiustizia e disuguaglianze ma risolute nel rivendicare la propria identità al di fuori e entro lo stato, che occorre confrontarsi. Ed emerge come sia necessario contenere i rischi evidenti della società multiculturale di deriva verso la discriminazione e il razzismo determinati da una politica di esclusione. D’altra parte, perseguire soluzioni efficaci ai problemi del muticulturalismo promuovendo una politica di inclusione presenta tutte le difficoltà inerenti all’essenza potenzialmente dirompente delle culture.
Sembra che le soluzioni sperimentate nella pratica di governo siano le seguenti.
A) L’assimilazione. Sulla falsariga della secolare esperienza di matrice repubblicano francese o del melting pot statunitense. I limiti di questi modelli, quando non siano accompagnati da un robusto sostegno alle comunità straniere sul piano sociale, sono riconducibili alla tendenza di contrapposizione su base identitaria fra le culture originarie e quella ospitante.
B) L’integrazione nella cittadinanza. Vale a dire l’adesione ai valori civici e politici comuni codificati all’interno di uno stato, prescindendo dall’appartenenza a culture particolari. A questo proposito spicca evidente la contraddizione tra il riferimento ai valori particolari di una formazione statale definita nello spazio così da separare cittadini e stranieri, e i valori universali riferiti a un’umanità attiva in condizioni di mobilità su scala mondiale, priva di un luogo di riferimento specifico.
C) La soluzione multiculturale vera e propria. Che postula un’interazione costruttiva fra culture diverse fondata sull’ipotesi di una convivenza costruttiva e solidale. Due sono i limiti evidenti di questa scelta: i rischi che una comunità legittimata nel suo status di entità chiusa politicamente non si attenga alle regole comuni di cittadinanza; la soggezione dell’individuo alla cultura particolare della comunità con possibili derive di prevaricazione sulle libertà personali.
In ultima istanza, l’autore sottolinea che è al singolo individuo in quanto tale, teso alla piena realizzazione delle proprie potenzialità, che spetta il compito di affermare la propria identità, anche a costo di trascendere i vincoli della cittadinanza e dell’appartenenza a una cultura. Da questo discende come compito principale della politica la promozione di un’umanità plurale e solidale, libera dall’alienazione dei principi astratti e dalle costrizioni di culture definite in termini esclusivi.
di Paolo Calzini