Sette tesi contro l’uomo globale
Chi mastica un po’ di sociologia o solo chi è interessato ai temi della globalizzazione e del cosmopolitismo sicuramente avrà incontrato, in un modo o nell’altro (un libro, un articolo su un quotidiano diffuso, su internet), un qualche testo del sociologo tedesco Ulrich Beck. Due suoi recenti articoli, “Sette tesi contro l’uomo globale”(Corriere della Sera, 12 dicembre 2007) e “Nation-state politics can only fail the problems of the modern world” (The Guardian, 15 gennaio 2008) meritano a nostro avviso un approfondimento. In questo numero della newsletter ci soffermiamo sul primo.
Ulrich Beck è uno dei più stimati e influenti studiosi delle questioni riguardanti i cambiamenti culturali e sociali del mondo glocal, a partire dai suoi scritti degli anni ’80 sulla “società del rischio”, fino ai temi della globalizzazione ed ultimamente a quelli di un’ Europa pensata come cantiere e progetto cosmopolita. In “Sette tesi contro l’uomo globale” Beck si muove sugli argomenti a lui più cari: l’idea cioè che si debba passare necessariamente da uno sguardo nazionale a uno cosmopolita, cioè da un pensiero “esclusivo” dell’ “altro”, inteso come straniero, a uno “inclusivo”. Le sette tesi, che sommariamente vengono definite contro l’uomo globale, sono a una riflessione più attenta delle valutazioni chiare e puntuali contro l’idea di un modello “idealtipico”, di impronta nazionale, figlio dei cambiamenti della modernità europea, degli assestamenti susseguenti alla pace di Westfalia del 1648 e dei conflitti sociali emersi con la Rivoluzione Industriale e Francese. L’altra critica che Beck leva nell’articolo è quella rivolta all’idea di globalizzazione, pensata banalmente e ingenuamente come sovradeterminata da processi economici e di mercato, cioè da quel processo che Beck stesso chiama “globalismo” o per rendere l’idea ancor più efficace: “Mcdonaldizzazione”. Naturalmente non si tratta di questo o comunque solo di questo.
La globalizzazione è sì un processo ma è soprattutto un fatto, un’ evidenza dei mutamenti degli assetti del mondo. Non la si può fermare. E’ palese che dopo la caduta del Muro di Berlino, dell’ex Unione Sovietica, ma soprattutto con lo sviluppo globale dei media e dei nuovi media, non è possibile pensare a un processo a ritroso, fortemente orientato a chiudere le vie di comunicazione, di trasporto, di contatto. Le società sono sì aperte, ma in quale modo esse si dischiudono all’alterità, all’imponderabilità? E più di ogni altra cosa, come fare affinché i conflitti emergenti rimangano circoscritti ad un livello di sofferenza tollerabile?
Non siamo, certo, in un periodo di ottimismo, dove abbondano previsioni di un futuro prospero e sereno. Allora è naturale porsi la domanda che Beck inizialmente colloca al centro del suo pensiero: come andranno a modificarsi le forze in campo pronte a giocarsi il potere in tempi di globalizzazione e cosmopolitismo? Che cosa ci aspetta nel movimento di queste forze? Beck ritiene che il consumatore e le sue scelte possano fare da contrappeso al potere immenso del capitale globalizzato, che egli definisce “translegale”, dato che non può essere normato da nessuna legislazione, né nazionale né internazionale. Un nuovo potere di matrice politica sembra dunque instillarsi nel nuovo consumatore, ma fino a che punto egli ne è consapevole?
Ma c’è qualche cos’altro. Come si stabiliscono i rapporti con la politica, con le decisioni amministrative? Come saranno pensati gli spazi nei quali dovranno essere prese le decisioni? Anche se Beck non ne fa esplicito riferimento, come per esempio in altri suoi testi, la dimensione cognitiva più significativa è quella glocale, che racchiude in sé l’aspetto “locale” e “globale” in un rapporto di continua interdipendenza e di sostanziale legame. Dove il micro e il macro appartengono alla stessa essenza, dove il tutto si spiega con la parte e viceversa, dove il micro intende mantenere le proprie specificità e diversità senza per questo evitare di porsi in una posizione dialogante con gli altri micro ed i processi più globali. La metafora del battito di ali di una farfalla che provoca delle conseguenze dall’altra parte del mondo è più che mai significativa e realistica. Siamo tutti una “comunità di destino” (come la definisce lo stesso Beck), nel bene e nel male. La via da intraprendere è quella cosmopolita, inclusiva, che fa della diversità una possibilità di arricchimento sia materiale che spirituale. Volenti o nolenti, siamo costretti ad “aprirci” all’altro anche se questo, é necessario ricordarlo, può generare conflitti.
Riccardo Giumelli
U. Beck, Sette tesi contro l'uomo globale - Corriere della Sera
U. Beck, Nation-state politics can only fail the problems of the modern world - The Guardian
Dialoghi internazionali
Sull’ultimo numero di “Dialoghi Internazionali. Città nel Mondo”, la rivista quadrimestrale edita da Bruno Mondadori e promossa dalla Camera di Commercio di Milano, è stata pubblicata un’ampia sintesi della ricerca “Milano e le sue Porte”, condotta da Globus et Locus.
All’origine della rivista c’è un lavoro di riflessione e di ricerca che ha visto confrontarsi
alcuni tra i più vivaci studiosi “milanesi”, di respiro internazionale, su come le sfide della globalizzazione hanno modificato (e continuano a farlo, perché si tratta di un processo dinamico) il sistema metropolitano locale e su come quest’ultimo “globalizza” i sistemi (o ambiti) con i quali interagisce.
Si tratta della ricerca “Milano, nodo della rete globale”, già nota ai lettori di questa newsletter. In quell’occasione, Mauro Magatti, coordinatore di tale iniziativa, aveva sottolineato la necessità di «dare avvio a dialoghi internazionali su Milano». In che modo? «Coinvolgendo non solo chi sta dentro la città, ma anche chi sta fuori e interagisce con essa, intesi come occasioni nelle quali le buone prassi e le buone relazioni tra i soggetti possano diventare visibili.» Con quale obiettivo? «Quello di creare una zona liminale, capace di essere luogo di rappresentazione della “nuova città” (che è nei fatti) e di renderla più visibile ai sistemi decisionali istituzionali» (è questa la vera sfida, ma non sempre i “decisori istituzionali” mostrano attenzione a ciò che non è immediatamente “funzionale”). Perché? «In questo modo sarà possibile correggere l’autopercezione della realtà esistente e far emergere spinte innovative di tipo economico, culturale e istituzionale». Con la convinzione, e questa aggiunta è di Giulio Sapelli, anche lui tra i partecipanti alla ricerca-riflessione, che «le nuove élite di cui ha bisogno la città vivono più fuori Milano che in Milano. Appartengono ai network e alle cerchie sociali che s’intersecano con Milano […]. E quindi possono essere e sono élite tanto di Milano quanto di altre città.» A fare da sfondo a queste considerazioni, soprattutto l’intervento, sempre nella stessa occasione, di Claudio Ciborra che, utilizzando i dati elaborati da Peter Taylor e i suoi colleghi del progetto GaWC e resi pubblici in quel periodo, inseriva Milano, quanto a connettività globale di rete (in base a un indice delle connessioni intercittà di 100 aziende specializzate in servizi in campo legale, pubblicità, consulenza manageriale ecc.), all’ottavo posto tra le città globali, appena dopo New York, Londra e Hong Kong e prima di Los Angeles e Madrid. Questo dato è stato, negli ultimi anni, ampiamente citato ma su di esso si è poco riflettuto e solo con la ricerca su “Milano e le sue Porte” si è iniziato a misurare concretamente questi flussi per alcuni sistemi funzionali (i risultati “visibili” potrebbero essere molto utili ai “decisori istituzionali” alle prese oggi con problemi legati alla logistica e alla mobilità).
“Dialoghi Internazionali. Città nel mondo” nasce – grazie a Mauro Magatti e Giulio Sapelli, direttori scientifici della rivista – con questa ambizione “ottica”: incidere sulla “percezione” della realtà milanese, producendo riflessioni sulla città e i suoi attori e “narrazioni” della città mediante i suoi attori.
Nei sei numeri finora usciti il “confronto” tra Milano e le altre città del mondo è stato costante. Si è parlato di Milano e soprattutto presentato articoli, ricerche, reportage sulle altre città, con contributi di sociologi (Patrick Le Galés, Mauro Magatti, Paolo Perulli, Saskia Sassen, Manuel Castells) economisti (Richard Burdett, Bernardo Bortolotti, Sergio Mariotti, Allen J. Scott) geografi (Peter Taylor, Alan Pred, Franco Farinelli, Edward W. Soja, Stephen Essex, Brian Chalkley, Chun Young), architetti e urbanisti (Vittorio Gregotti, Bruno Gabrielli, Chiara Mazzoleni), scrittori (Luca Doninelli, Suketu Mehta, Ornela Vorpsi), imprenditori (Alberto Bombassei, Roberto Verri, Laura Ferro, Nicola Zanardi, Paolo Valvassori). Riflessioni su temi come la governance delle città europee e asiatiche globalizzate, le authority locali, mescolati a racconti di imprenditori innovativi lombardi, profili di giovani talenti alle prese con una città che nei loro confronti non mostra la stessa attenzione e mobilità, ad esempio, di Barcellona e New York. E sempre riservando una grande attenzione alla città fisica. Non si abitano “metafore” (città infinita, “città dei bit” ecc.) ma luoghi concreti costituiti da materiali (strade, edifici, spazi aperti…) che ne definiscono la qualità e che costituiscono la componente con maggior inerzia nel tempo. La città è un evento fisico, diceva Giancarlo De Carlo, protagonista dell’esperienza del Piano Intercomunale Milanese.
Milano Globale e le sue Porte
La ricerca "Milano Globale e le sue Porte", appena conclusa, si è posta l’obiettivo di individuare, rappresentare e iniziare a misurare i flussi alimentati da alcune grandi funzioni dell’economia di Milano.
Flussi non ancora adeguatamente studiati e - prima
ancora - non pienamente capiti e rappresentati. Anziché limitarsi a osservare la diffusione urbana milanese, la localizzazione produttiva e insediativa, la rete infrastrutturale - aspetti a cui quasi sempre si limita la rappresentazione della regione urbana milanese - si è scelto di ricostruire, analizzare, rappresentare e misurare i flussi materiali e immateriali che caratterizzano il nodo della rete globale. Flussi invisibili, ma essenziali per capire Milano Globale. Sono essi,i flussi, la nuova unità di analisi scelta per rappresentare Milano Globale.
La ricerca ha così identificato sei “porte”, o sistemi funzionali di accesso-transito-uscita a/da Milano che alimentano altrettanti flussi di persone, imprese, merci e servizi, informazione e conoscenza: si tratta della logistica, degli aeroporti, della fiera, dell’università, della ricerca, del design. Non sono le sole porte di Milano: ma queste sono state individuate per la loro rilevanza nei sistemi economico-territoriali a scala globale, per la possibilità di effettuare comparazioni con le altre città globali, per la crucialità che in essi occupano non solo gli investimenti in capitale fisso ma anche il capitale umano e i fattori immateriali e, infine, per il peso specifico che Milano detiene nei rispettivi sistemi funzionali.
La natura di città globale misurabile attraverso questo tipo di analisi è stata confermata dagli studiosi prestigiosi che hanno formato il comitato scientifico della ricerca. In particolare il prof. Peter J. Taylor, autore della più importante ricerca sui World City Networks (2004), ha spiegato che Milano non è solo un luogo di passaggio, ma anche un luogo in cui “accadono molte cose”, ed è questo che la rende una grande città. La metafora proposta in questo contesto è di tipo ecologico, in cui c’è un input, un output e un throughput. Il throughput è un “canale”: in alcuni casi non è particolarmente attivo, mentre in altri ambiti presenta un notevole valore aggiunto. Per una città la funzionalità è fondamentale e a ciascuna funzione corrisponde un canale: quello che entra e quello che esce agli estremi, ma anche quel che succede nel mezzo. Si è perciò insistito sul fatto che i flussi che attraversano Milano Globale sono “vischiosi”, nel senso che si addensano e “aderiscono” alla città e la trasformano, e insieme ne sono fortemente caratterizzati.
I flussicostituiscono la vera originalità che la ricerca ha cercato di seguire rispetto alle precedenti ricerche che hanno pensato di definire la scala territoriale pertinente (comune, provincia, regione, etc.). Se guardiamo invece ai flussi, non si può prescindere da considerazioni di scala, ma esse sono meno importanti e si può quindi essere piuttosto fluidi al riguardo. Milano Globale può essere un nodo centrale in cui si intersecano flussi, oppure una serie di agglomerati secondo la metafora di “città di città”, o infine di “regione di città”.
La ricerca ha permesso di gettare le basi per un lavoro successivo. Nel 2008 Globus et Locus, in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano, continuerà questa riflessione con la creazione di nuovi set di indicatori statistici che siano in grado descrivere e misurare le trasformazioni in atto, soddisfacendo le esigenze di misurazione individuate nel corso del progetto.
Paolo Perulli, coordinatore della ricerca Milano Globale e le sue porte
Torino e il design
Per il 2008 l’ICSID, International Council of Societies of Industrial Design, ha conferito alla città di Torino la nomina a prima World Design Capital, riconoscendole la volontà progettuale di rinnovare se stessa attraverso un legame profondo con l’innovazione e la creatività dimostrato nel campo dell'industrial design.
Tale riconoscimento rappresenta una grande occasione per disegnare nuove vie di sviluppo del territorio, in uno sforzo progettuale e strategico per rinnovare l’immagine di Torino da città industriale a città europea e simbolo di un’Italia sempre più glocal.
Il calendario delle iniziative prevede oltre 200 eventi tra mostre, installazioni, seminari e workshop, aventi come filo conduttore il tema della “flessibilità”: la città contemporanea esige infatti risposte flessibili. Deve essere capace di rimodellarsi di continuo e riscoprire di volta in volta una nuova capacità di adeguamento.
Torino, insieme a Milano, si conferma dunque come uno dei nodi fondamentali della rete di eccellenza del made in Italy nel campo del design.
Sul sito: http://www.torinoworlddesigncapital.it è possibile consultare il calendario degli eventi e gli aggiornamenti sulle diverse iniziative.
La recensione del mese
”Mediterraneo. Immagini, storie e teorie da Omero a Braudel”,Scipione Guarracino, Bruno Mondadori 2007
Se prendiamo per buona, intesa per “universale”, la meditazione di F.Braudel “essere stati è una condizione per essere”, certo non sfuggirà l’idea che la storia, la cultura e gli avvenimenti susseguitisi nel Mediterraneo agiscono da sorgente di quella che intendiamo come identità italica e delle grandi civiltà presenti nel pianeta: quella occidentale, quella araba e quella giudaica, senza dimenticare, attraverso una definizione in termini religiosi, quella ortodossa.
Il libro di Scipione Guarracino intende pertanto raccontare cosa significhi e cosa abbia significato nel corso del tempo l’identità mediterranea: come sia stata riconosciuta, pensata, affermata oppure svalutata durante l’infinita serie di vicende che hanno visto protagonista questo mare, le sponde bagnate ma anche le terre più lontane.
Comprendere le idee nate in questa zona del mondo, il loro sviluppo, intreccio, il loro morire per poi rinascere con sembianze nuove crea una consapevolezza alta dell’uomo contemporaneo e del suo futuro, soprattutto nei complessi e dinamici movimenti della globalizzazione e del cosmopolitismo che lo riguardano.
Cosa accomuna allora l’uomo romano o genovese a quello magrebino, al turco o al libanese? Sicuramente una posizione geografica localizzata nelle immediate vicinanze di questo mare racchiuso da terre, ma anche caratterizzata da un clima piuttosto uniforme, temperato. Un luogo dove i colori risplendono e si uniscono a sapori e odori come a completare un quadro multisensoriale. Ma il Mediterraneo non è solo questo, anzi sfugge ad una classificazione precisa. Esistono tanti Mediterranei, al punto che Braudel si chiede se si abbia il diritto di parlare di un’unità mediterranea. E’ proprio da questo che allora bisogna partire, dalle parole chiave che lo identificano “diversità, originalità, contrasti, opposizione”. La natura profonda del Mediterraneo non è un’utopica e mistificante unità ma piuttosto “un incontro”, uno scambio ed un collegamento tra eterogeneità cooperanti o in conflitto tra loro.
Nel Mediterraneo l’incontro/scontro ha caratterizzato la vita delle città, vera grande forma organizzativa degli uomini. Soprattutto tre grandi città ne hanno segnato il cammino: Atene, la filosofia e le prime forme di democrazia; Gerusalemme, la teologia, l’ermeneutica e la fede cristiana ed infine Roma, il diritto, unica capace di dare unità politica a tutto il Mediterraneo.
L’Europa moderna è figlia del Mediterraneo ma in qualche modo, per lo stesso autore, sembra distaccarsene, quasi piuttosto a voler sembrare figlia di se stessa: del razionalismo moderno di origine cartesiana e smithiana, della Riforma Protestante e soprattutto dello sguardo rivolto sull’Oceano Atlantico, nuovo sconfinato mare da conquistare.
Ma oggi dove le grandi idee sembrano non attrarre più, incapaci di dare soluzioni ad un mondo così inafferrabile, inspiegabile nelle sue azioni e nelle sue conseguenze, dove la fede e la ragione non esercitano più il fascino di un tempo “il Mediterraneo di per sé non fa niente. Dà solo l’opportunità di mettersi a sedere, prendere un tè o un caffè, contrattare, discutere, perdere tempo, incuriosirsi dell’interlocutore, essere disposti a rimetterci qualcosa che alla fine vale meno di quello che si sta imparando durante la conversazione”.
E’ necessario affermare, per concludere, che in questo libro si possono scorgere, a mio avviso, molte prospettive volte al futuro e non esclusivamente il racconto storico del Mediterraneo. Un futuro che se intende essere “glocale” e cosmopolita dovrà inevitabilmente interrogarsi su una grande risorsa, quella dell’identità mediterranea nei termini sopra argomentati.
Recensione a cura di Riccardo Giumelli