Dal 3 al 5 aprile si è svolto a Philadelphia un convegno internazionale dal titolo “Italicity. The languages of Italy in United States between tradition and innovation”. L’iniziativa, che fa parte del calendario del “2013, Anno della cultura italiana negli Stati Uniti” è stata promossa dal Center for Italian Studies della University of Pennsylvania, dal Consolato italiano a Philadelphia da AISLLI (Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua e Letteratura Italiana), struttura riconosciuta dall’Unesco e di cui il professor Carlo Ossola (Collège de France e Università di Lugano) è Presidente Onorario, e da Globus et Locus.

Intento dell’iniziativa, alla quale Globus et Locus era presente e ha portato due diversi contributi, era quello di riflettere sul ruolo della civilizzazione italica nel mondo (in particolare negli Stati Uniti), i suoi linguaggi e le sue possibili forme di statualità nella realtà glocal. Alle tre giornate di lavoro hanno preso parte accademici e personalità provenienti da varie parti del mondo, ed è emerso con evidenza che l’italicità è ormai un dato di fatto. La “civilizzazione” italica, i cui membri sparsi nel mondo sono caratterizzati da pluriidentità e da multilinguismo, è oggi un Commonwealth di culture, di esperienze, di ideali e sta avviando un percorso di aggregazione con modalità bottom up.
La portata di questo fenomeno è stata ben messa in luce, nel suo interessante intervento introduttivo, dal console italiano a Philadelphia Luigi Scotto, il quale ha portato anche il saluto dell’Ambasciatore Carlo Bisogniero. Il console ha espresso il suo apprezzamento per l’iniziativa, sottolineando il fatto che l’identità italica è una dimensione aggregante indipendente dal concetto di stato nazionale e di confine territoriale. L’idea principale proposta dal convegno, cioè che gli italici siano i membri di una aggregazione globale basata sulla condivisione di valori è, a suo avviso, un tema di cui bisogna prendere coscienza, nella convinzione che sia molto importante per proporsi nel mondo con una visione aggiornata alle dinamiche della realtà glocal.
L’italicità, come ben illustrato dal prof. Fabio Finotti, direttore del Center for Italian Studies, nel suo intervento, si configura infatti come una condizione culturale che ha caratterizzato l’intero percorso storico della Penisola e si è poi ampiamente insediata nel mondo, ibridandosi nell’incontro con le varie culture dei luoghi ospitanti. Mentre le culture e le lingue nazionali nell’Ottocento e Novecento erano state utilizzate per affermare le diversità e creare barriere fra popoli, in realtà, la cultura italica è stata da sempre in grado di assorbire e rielaborare stimoli e spunti diversi. A partire dall’analisi delle esperienze di narratori e poeti italiani del Novecento, come Italo Svevo, Umberto Saba e Alberto Moravia, che hanno scelto di cambiare il loro cognome, il Prof. Finotti ha analizzato i caratteri dell’italicità italiana, mettendone in luce le caratteristiche: porosità dei confini; spinta al movimento centrifugo, che va dal centro alla periferia e dall’Italia nel mondo; pluralismo etnico culturale; contatto fra diversi linguaggi. In conclusione, il prof. Finotti si è soffermato sul concetto di patria. La patria per gli italici è sempre lontana, non è mai in un luogo, un territorio definito. Gli italici per loro natura sono in perenne peregrinazione. Ciò è evidente anche nella lingua del paesaggio, che apre continuamente miraggi di lontananze e discorsi di paesi sconosciuti.
Il presidente di Globus et Locus, Piero Bassetti si è dichiarato ben lieto di constatare come il convegno si inserisse pienamente nel discorso sviluppato da Globus et Locus in questi anni sull'italicità, allo scopo di favorire la aggregazione della civilizzazione italica. Bassetti, nel suo significativo intervento dal titolo “From Italians to Italics: towards a Glocal Civilization”, non a caso tenuto in inglese, a sottolineare che l’italicità è una civilizzazione che si esprime attraverso il ricorso a diverse lingue e linguaggi, ha messo in evidenza il fatto che la glocalizzazione domanda una nuova dimensione di convivenza politica centrata sul sistema relazionale di reti e funzioni. In un mondo glocal, di mobilità, stanno nascendo nuovi popoli “glocali”, trasversali rispetto agli stati e ai territori. Si tratta di popoli glocali, definiti anche comunità “di sentimento” e caratterizzati da un’identità plurale. Al tempo stesso comunità “di pratica” o “di funzione”, costituite appunto intorno all’esercizio di pratiche comuni.
Queste nuove forme di aggregazione, sempre di più si stanno organizzando per civilizzazioni. Una di queste civilizzazioni è appunto quella italica, la cui unità è destinata ad essere fondata non su base territoriale, né etnica o linguistica, ma sulla condivisione di valori, di relazioni e di linguaggi, che consentano a coloro che appartengono a questa community di sentirsi uniti per finalità storicamente nuove. Bassetti ha dunque stimolato a riflettere sin d’ora su come rafforzare i presupposti per lo sviluppo della civilizzazione italica, in primo luogo sulle sue modalità per comunicare. Gli italici non possono più essere ricondotti semplicisticamente agli elementi di una lingua unica e nazionale, ma a quelli di diversi linguaggi.
Una delle dimensioni nelle quali il processo di aggregazione degli italici sta avvenendo con più evidenza è quella del business, essendo il business esso stesso un linguaggio. Non a caso, particolare rilievo è stato dato, nel convegno, alla presentazione dell’interessante progetto dell’imprenditore Alfredo D’Ambrosio, Italicos. com, una piattaforma online dedicata alla comunicazione e aggregazione sul web degli italici del mondo. Nel suo intervento, il sociologo Riccardo Giumelli, che collabora con l’iniziativa, ha evidenziato come la peculiarità della cultura italica stia nel fatto che essa si fa al di fuori dei confini nazionali. L’italicità infatti ha una portata universale, risultato del fatto che attraverso i secoli gli italici si sono sparsi per il mondo con le loro élite intellettuali, le diplomazie, in epoca più recente le migrazioni, e oggi le nuove mobilità. Fenomeni, questi, che hanno creato sincretismi culturali all’interno di altre identità. Giumelli, riprendendo il pensiero di Piero Bassetti, ha sottolineato - e questa è stata la tesi di fondo emersa dal convegno - che è giunto il momento di impegnarsi per favorire il processo di presa di coscienza e di costruzione della civilizzazione italica. Lo spazio ideale per farlo è il web e il social networking.
Sempre sulla business community italica era l’intervento di Veronica Trevisan, che ha presentato le riflessioni di Piero Bassetti e di Globus et Locus sul sistema camerale italiano all’estero e il suo ruolo centrale per favorire l’aggregazione degli italici. Partendo dalla considerazione che la business community italica è una realtà i cui membri condividono non solo delle transazioni economiche ma anche la dimensione multilaterale dei valori, si è riflettuto sull’importanza di utilizzare questa dimensione come un fattore di affermazione dell’italicità nel mondo glocal e sfruttare l’abilità di fare rete puntando più consapevolmente sulla valorizzazione del patrimonio di saperi, costumi e abilità che gli italici condividono. In questo processo, fondamentale è il ruolo delle camere di commercio, quali forme di rappresentanza degli interessi in grado di superare, pur tenendola presente, la logica dei territori e dei confini. Da qui la proposta di stimolare la nascita di camere di commercio italiche.
Di carattere più scientifico-documentativo è stato l’intervento di Maddalena Tirabassi, direttrice del Centro Altreitalie, dal titolo “The New Italian mobility: a transition to glocalism”. Tirabassi ha presentato i risultati dell’interessante ricerca condotta dal Centro Altreitalie sul tema delle nuove mobilità degli italiani nel mondo, a partire dall’anno Duemila.
Nel complesso, pur con una prevalenza di linguisti e letterati, si è trattato di una conferenza altamente interdisciplinare. Nell’ambito del convegno sono state portate testimonianze interessanti da relatori provenienti da approcci, esperienze e di ambiti di studio differenti: dall’analisi del rapporto fra accento, voce e costruzione dell’identità (Anna De Meo, Università di Napoli l’Orientale) all’apporto culturale e filosofico del neorealismo del cinema italiano negli Stati Uniti (Joseph Luzzi, Bard College), ai modelli proposti dalle esperienze imprenditoriali innovative delle startup di New York (Maria Teresa Cometto, Corriere della Sera e Alessandro Piol, Vedanta Capital). Era presente anche Giustina Magistretti, direttore dell’ISSNAF, The American Scientits and Scholars of North America Foundation, a testimoniare l’importanza data dal convegno al tema del talento italico e della capacità di produrre innovazione. Tema, questo, che era anche l’obiettivo principale del “2013. Anno della cultura italiana negli Stati Uniti”.
Il convegno si è configurato anche come un “fatto politico”, oltre che come momento di riflessione intellettuale. Tema, questo, colto e ben messo in evidenza anche dal Ministero degli Affari Esteri, che, nel sito ufficiale di 2013, Anno della Cultura Italiana (Italy in US 2013), nel presentare l’evento spiega che “La civiltà italica è nata da una serie di fenomeni multipolari generati dall’incontro di diverse culture. Sono gli italici, non solo gli ‘italiani”, che hanno promosso l’italicità nel mondo: stranieri che hanno scelto la cultura italiana come punto di riferimento. Diversamente da altre culture, come quella anglosassone o quella ispanica, la cultura italiana si basa solo parzialmente su una comunità linguistica omogenea e fortemente identitaria. La forza dell’italicità risiede precisamente nell’abilità di combinare diversi linguaggi, etnie, e codici di comunicazione. La questione è cruciale anche per la politica estera: in un mondo “glocal”, le relazioni politiche e culturali devono essere mantenute anche con “italici” che non parlano necessariamente italiano e che sono interessati a riscoprire il “parlar materno” di dantesca memoria.”
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Il convegno, si è inserito all'interno di un percorso di collaborazione con la University of Pennsylvania, avviato da Globus et Locus già da diversi anni (anche attraverso la realizzazione dei due convegni "Languages, Cultures, Identities of Italian in the World del 2009 e "From the unity of Italians to the unity of Italics" del 2011).