Come cambia il ruolo delle lingue nel mondo glocal e su quali presupposti si può costruire la tutela del proprio idioma? Su questo tema è in corso un acceso dibattito cultural-politico in Svizzera, Paese dove si pone con crescente importanza il problema della difesa del quadrilinguismo e dove si è costituito, nel 2012, un Forum per la valorizzazione e la difesa della lingua e della cultura italiana.

Di questo si è parlato in un importante convegno dal titolo L’Italiano sulla Frontiera. Vivere le sfide linguistiche della glocalizzazione e dei media, svoltosi a Basilea il 9 e 10 maggio e promosso, fra gli altri, dall’Istituto di italianistica dell’Università di Basilea e da Coscienza Svizzera. Al convegno è stato invitato a portare un contributo, nella sessione di apertura, alla presenza delle autorità svizzere, anche Piero Bassetti, presidente di Globus et Locus, essendo, fra l’altro, l’Associazione, uno fra gli enti patrocinatori.
Il Presidente Bassetti nel suo intervento ha voluto stimolare una riflessione sul fatto che la difesa della propria lingua va oggi affrontata adottando un approccio nuovo, ispirato a un paradigma epistemologico che tenga conto del valore dell’ibridazione e della caduta dell’idea stessa di “frontiera” e di “confine”, sia esso nazionale, linguistico o identitario.

In questo quadro, è chiaro che il modo migliore per difendere una lingua non è più quello di affidarne la tutela solo ai soggetti istituzionali preposti a occuparsene, ma è piuttosto quello di fare riferimento ai valori che tale lingua è in grado di incarnare e veicolare. Nel caso dell’italiano, la validità di questo discorso è evidente. La storia ha infatti dimostrato che tutte le volte che l’italiano si è posto come una lingua di elezione, di scelta, ha avuto un ruolo di riconosciuto prestigio, mentre quando si è tentato di imporlo come una lingua politica è rimasto più marginale. Un discorso, quello sviluppato dal Presidente Bassetti, che è stato accolto con particolare interesse dai presenti e anche dall’esponente della Farnesina presente all’incontro e che si svilupperà nel corso dei prossimi mesi.

Intervista a Remigio Ratti
Degli esiti del convegno, che ha portato anche alla realizzazione di una Dichiarazione finale, abbiamo parlato con uno dei suoi principali promotori, Remigio Ratti, economista, presidente di Coscienza Svizzera e tra i coordinatori del "Forum per la lingua italiana in Svizzera".
Perché questo convegno?
L'italiano in Svizzera è lingua nazionale e lingua ufficiale, giuridicamente ben consolidata nelle istituzioni e ben presente nella pratica del federalismo svizzero e del suo quadrilinguismo. L'attenzione alle minoranze e agli equilibri interni del Paese hanno costantemente dato luogo a una situazione spesso invidiata all'estero, con dibattiti cui hanno fatto seguito adeguamenti pragmatici, nell'ambito della tradizione del federalismo svizzero; solo nel 2007 si è arrivati a una specifica "Legge federale sulle lingue nazionali e la comprensione tra le comunità linguistiche".
Segno di uno scenario divenuto più incerto?
La domanda è lecita appena si legga il titolo del precedente convengo dell'Istituto di Italianistica dell'Università di Basilea (16-17.11.2012): "L'italiano in Svizzera: lusso o necessità?", di cui sono appena usciti gli Atti a cura di Maria Antonietta Terzoli e Carlo Alberto Di Bisceglia (Casagrande, Bellinzona). Preoccupazioni interne alle quali tuttavia non potevano che aggiungersene altre, verso l'esterno.
Quali?
"L'italiano sulla frontiera" – e Basilea, ricordiamolo, rappresenta una frontiera trinazionale particolarmente aperta e pre-wesfaliana (Concilio di Basilea del 1431-49) – mette in risalto come, nell'era della globalizzazione, non sia solo l'italiano ma tutto il quadrilinguismo svizzero ad essere messo alla prova. In fondo, in questa sfida anche il tedesco – e i dialetti svizzero-tedeschi – diventano minoritari.
Un vantaggio per l'italiano ora sul medesimo piano?
Si aprono nuovi scenari; ma, né i processi di strisciante regionalizzazione su base linguistico-territoriale (con i vari Röstigraben o Polentagraben), né l'arroccamento attorno alla propria "lingua regionale" e all'inglese come lingua franca appaiono culturalmente e politicamente sostenibili. In un contesto europeo la Svizzera trova le forze e le convenienze migliori nell'affermarsi quale spazio multilingue e multiculturale.
Quale il ruolo delle frontiere?
In una relazione sempre più globale/locale emergono forme di ibridazione e di aggregazione culturali condivise e consimili, in grado di dialogare e di arricchirsi umanamente su basi non escludenti o esclusive. Le regioni di frontiera della Svizzera, in particolare quella bilingue di Basilea e con forte presenza italica, dimostrano la vitalità delle stesse e la capacità di far leva sul plurilinguismo e sulla necessità d'integrazione reciproca.
Il testo della Dichiarazione di Basilea ha tra l'altro messo in evidenza un punto di particolare interesse per l'approccio di Globus et Locus. Ce lo descriva.
L'italiano evolve solo cogliendo nuove prossimità, non più solo territoriali. In particolare, cogliendo nuove prossimità non strettamente geografiche; sono le prossimità di organizzazione e le prossimità istituzionali che si traducono in nuove reti di attori, in regole del gioco di politica delle lingue e di politica culturale. Si legge nella dichiarazione: "L'italofonia si allarga all'italianità e, con un neologismo, all'italicità, allorquando una comunità può avvalersi del "sentire italiano" espresso non solo da italofoni ma anche da persone d'altra lingua principale (compresi i figli degli immigrati di lingua italiana ormai integrati anche linguisticamente) che non necessariamente si esprimono in italiano, ma lo capiscono. In particolare l'italicità copre tutti i fenomeni che si riferiscono alla cultura e alla civiltà italiana e alla sua presenza nel mondo odierno".
Un traguardo significativo. Che però segna solo l'inizio di un processo, al quale saranno chiamati a partecipare tutti coloro che sono interessati a difendere l'italiano nel mondo, non come svizzeri o italiani o altro, ma come italici.
Testo a cura di Veronica Trevisan e Sergio Roic