In tema di nuove mobilità, i G2 come vivono il rapporto con le loro molte identità nell’era glocal e multiculturale in cui viviamo?
Una prima considerazione va fatta sul termine “identità”, così come è stato sviluppato nel pensiero di Amartya Sen. L’identità è una sola, semmai sono le appartenenze e le affiliazioni a essere declinabili al plurale ed è ciò che sempre più stanno facendo i cittadini del mondo glocal. E’ un fatto nuovo, una mutazione interna che con le nuove generazioni è diventata fortemente visibile, e che nelle esperienze e nelle narrazioni di chi la vive (pensiamo alla scrittrice Igiaba Scego) è molto più disinvolta e naturale di quanto si pensi.
Per sviluppare il discorso sulle identità e sulle pluriappartenenze, dobbiamo però partire dal senso che intendiamo dare al termine “cultura”. Siamo abituati a considerare la cultura come un concetto statico, un’eredità vincolante, un destino. In realtà la cultura va immaginata come un organismo vivente e in costante evoluzione.
Qualsiasi cultura se non viene alimentata, reinterpretata, interrogata rischia di estinguersi. Nel caso della cultura italiana, il fatto che essa venga reinventata e rinnovata dai nuovi italiani è un valore aggiunto. Pensiamo ad esempio alla lingua, che della cultura è uno dei principali vettori.
Le seconde generazioni sono già abituate a fare un uso funzionale della lingua, basato sul contesto e la tipologia di interlocutore a cui si rivolgono (l’amico, il genitore, ecc). I G2 che vivono nel mostro paese sentono l’italiano come la loro lingua di riferimento ma sono chiamati ogni giorno a tradurre e mescolare contenuti culturali e concetti diversi, con movimenti che non sono mai binari né mutuamente escludenti.
- E’ possibile, secondo lei, che i social network e il web contribuiscano a offrire l’opportunità di acquisire consapevolezza identitaria, oltre che aggregare attorno a interessi e pratiche comuni?
Il tema della consapevolezza identitaria è stato ampiamente indagato nell’ambito della psicologia interculturale e lo associo immediatamente all’idea di relazione.
Nel descrivere il percorso di acquisizione di consapevolezza identitaria di un G2, è utile evocare il concetto di passeur, di “traghettatore” (elaborato dalla psicologa francese Marie Rose Moro). Nella vita di ognuno di noi vi sono dei traghettatori, delle persone o gruppi di persone che ci aiutano ad introdurci nei diversi contesti di appartenenza. I G2, che sono anche nativi digitali, crescendo non si accontentano più dei “traghettatori” tradizionali (i genitori, la scuola, ecc), ma cercano altri simili a loro (li chiamerei “italiani col trattino”). Cercano un contesto associativo dove elaborare narrazioni personali sulle loro pluriappartenenze. Questi nuovi contesti, per una generazione che vive l’esperienza associativa soprattutto sul web, sono i social network. Il ruolo che un tempo aveva il territorio ora è della rete.
Alla domanda specifica, se sia possibile che i social network e il web rappresentino uno strumento utile a costruire consapevolezza identitaria risponderei di sì, ma tenendo presente un elemento essenziale: la differenza nel rapporto con il web che c’è fra i nativi digitali e coloro che non lo sono. E’ un divario difficilmente colmabile. La prima generazione di immigrati, per ragioni generazionali ma anche biografiche, difficilmente accede a queste stesse opportunità. La seconda generazione invece può farne ampiamente uso, con effetti in larga parte positivi sui propri percorsi identitari.
- All’interno del filone relativo alle nuove modalità di aggregazione del mondo glocal, noi abbiamo approfondito in modo particolare il tema degli italici. In che modo e attraverso quali canali, secondo la sua esperienza, i G2 si accostano alla nostra cultura e la fanno propria?
Il concetto di italicità è interessante e offre una chiave di lettura anche del fenomeno dei G2. Però, dopo quando abbiamo detto, più che di Italici parlerei di “nuovi italici”, perché le nuove generazioni vivono l’esperienza della pluriappartenenza in modo completamente diverso dai loro genitori.
L’acquisizione dell’identità, in questo caso quella italica, è un processo mai concluso, mai dato per acquisito una volta per tutte: le nuove generazioni che si sentono iniziate all’italicità, lo sono attraverso un’esperienza vissuta nella quotidianità, spontanea, che non si esprime attraverso un’acculturazione che viene dall’esterno (anzi, spesso l’esterno incide negativamente sull’esperienza di appartenenza, pensiamo allo stupore dei G2 di fronte al fatto di non vedersi riconosciuti i diritti fondamentali di cittadino). Nell’evoluzione di una cultura, il processo di sinergia e di ibridazione con altre culture è costante e difficilmente se ne possono identificare i confini. Come stabilire ad esempio, in che ambiti e con che percentuale un cinese che vive in Italia è figlio della cultura cinese o di quella italiana? Non è neanche un tema di interesse, per chi vive questa esperienza.
Io non credo che non si parlerà più di “cultura italiana”, ma che questa sarà arricchita e rinnovata dagli apporti delle ibridazioni delle nuove generazioni.
Intervista a cura di Globus et Locus (V. Trevisan)